
Il racconto di una giornata alternativa: tra bioagricoltura, amicizia e sani principi a difesa dell’ecosistema
Si fa un gran parlare contro i giovani, quando, invece, tantissimi adulti (E tu prima di tutti!) dovrebbero abbassare lo sguardo per la vergogna e recitare un serio mea culpa, mirandosi allo specchio. Responsabili dell’abisso verso cui, a vele spiegate sta viaggiando, senza che muovano un dito, la “Concordia” della società tecnologica e civile, rimorchiante per giunta l’intero pianeta.
Se, poi, hai la fortuna di conoscere Stefania e Silverio, due tini ribollenti di umiltà, competenza, entusiasmo, coraggio, etica personale e sociale, ed imbatterti in tantissimi altri come loro, te ne convinci in modo inoppugnabile ed irrefutabile.
Vivono perennemente in un ammaliante viaggio di nozze, e dalla rotondità della pancia dell’anfitriona intuisci che fra non molto un vagito incuriosirà i lombrichi, ammiccanti, che scavano labirintiche gallerie nel podere, su cui, con compiacimento, strizza l’occhio, dalla distanza di un tiro di una cerbottana, il maniero di Castel del Monte, il cui ideatore e committente guardava con lungimiranza al futuro.
Superata da poco la soglia dell’adolescenza, si imbarcano nell’avvincente avventura di prendersi cura della terra, la vecchia cara terra, la generosa e bistrattata terra, cara alla dea Cerere. La personalissima scelta non risponde, però, ad una moda estemporanea né ad una impellente necessità occupazionale. A loro, per un’intima esigenza vitale, preme volgere lo sguardo amorevole alle… piante, spontanee e coltivate, agli… animali, microscopici e voluminosi, infine… agli uomini di ogni genere, età, condizione sociale e culturale.
Ad ogni piè sospinto hanno incontrato diffidenze, riserve e pregiudizi nell’avviare un’iniziativa che fa rizzare il naso a chi è avvezzo a muoversi con le unghie perennemente laccate, a tenere le salviettine igieniche a portata di mano, a fare le ore piccole in pizzerie e ristoranti, a nutrire spregio verso l’umile contadino ma, consapevoli che “umile” deriva etimologicamente da “humus” terra, hanno proceduto con tenacia e determinazione lungo il solco inerbato dell’affascinante strada dell’esistenza che agognavano vivere.
Quando, lasciata la provinciale per Castel del Monte ed imboccata “Via dei Colli Sereni”, raggiungi il loro regno, rimani con la bocca aperta e gli occhi sgranati dall’identità che lo rende unico. Si dipana su più livelli. Nella sommità, a livello stradale, immersi nel verde dei pini si incastonano armoniosamente, un biancheggiate trullo calcareo ed una civettuola casetta infiorettata di pietre carbonatiche, che saluta le zone sottostanti con un porticato affacciantesi sull’ampia conca.
Scivolando con cautela, per non ruzzolare maldestramente, ad una quota più bassa, una lussureggiante mimosa evoca che l’otto marzo è alle porte. Là vicino, una sfiziosa segnaletica di frecce lignee indica il percorso per raggiungere gli orti sociali dai più svariati ortaggi e differenti pratiche colturali dove, nei momenti di libertà, intere famigliole di Andria si cimentano con le piante. Mentre ti inebri dei profumi, arriva inaspettato il cordiale saluto del chiocciare di “galline felici”, guardate altezzosamente da un possente gallo incedente pettoruto con regali zampate nel suo sottomesso gineceo starnazzante per baruffe cagionate dalla contesa di granaglie, disseminate a iosa.
Procedendo, circospetto, per un percorso sdrucciolevole lungo una palizzata in declivio, da poco piantumata, raggiungi la serra. Nell’ultima tua visita, giornalistica ed amicale, esisteva solo la struttura di metallo, issata da Gabriele, l’abile padre di Silverio, un artigiano con i fiocchi, ora, invece, è presente anche la copertura, garantita da fogli di policarbonato cellulare. All’interno alloggiano, riparate dai rigori, essenze aromatiche, riconoscenti per l’accoglienza ricevuta. L’aria odora di muschio, le gemme scalpitano sugli alberi, la clorofilla fa ribollire di verde le umili erbe spontanee. Da lontane contrade arriva la voce impetuosa e sferzante del vento di tramontana.
Più in basso ancora, si estende un vigneto, eretto a spalliera, da poco potato, con trapuntati filari di vite di uva “Troia”, di cui apprezzerai all’ora del sobrio pranzo vegetariano la bontà dei succhi, elargiti dalla nera terra punteggiata di biancastri frammenti di roccia.
Ecco Luca Lucente, bioconsulente e tecnico agronomico, esperto di di rigenerazione dei suoli e recupero della autofertilità. Aitante giovane, robusto e simpatico, dalla bella barba nera, allevata rasente al viso, come un inerbato uliveto. Oggi dialogherà con i numerosi partecipanti del Laboratorio “Macera e fermenta”, pervenuti da Andria, Corato, San Ferdinando di Puglia, Barletta, Trani e dalla lontana Turi, all’Azienda didattica “Kalì”, promosso congiuntamente all’Associazione “Fermenti resilienti” di Andria.
Una tematica inconsueta in un’epoca in cui l’agricoltura dominante è succube del conformistico e rapace business della chimica e della visione estrattiva dell’economia. Un evento che dimostrerà come, con pratiche dolci ed assecondanti la natura, si possa declinare congiuntamente l’identità del territorio, la sua valorizzazione, la sostenibilità ambientale, il coinvolgimento personale e la convivialità sociale.
Illustrata la differenza tra tisane, infusi, estratti, decotti e macerati d’erbe, l’attenzione si concentra per l’intera mattinata sui macerati di aglio ed ortica, toccasana per il suolo e di conseguenza per tutti i vegetali che hanno la fortuna di assaporarne e succhiare, in gran copia, energia, vitalità e salute.
È proprio il suolo, elaborato per migliaia di anni da stuoli infiniti di esseri viventi, alimentatisi con le più svariate forme di materiale organico, prodotto da erbe, arbusti, alberi ed animali in decomposizione, che calamita l’interesse professionale di Luca. Un solo cucchino da caffè ospita con piacere non meno di un migliaio di microscopici batteri e funghi di tutte le specie, innocui e patogeni, mescolati ad ogni sorta di minerali. Vi si crea un regime pedologico che va dall’acido, al neutro, al basico, a seconda della roccia madre da cui è stato generato per processi erosivi o per alterazioni biochimiche.
Al suolo vanno riservate le cure più meticolose. L’attività microbica di un terreno è importante come il microbiota umano, informalmente chiamato flora intestinale. I trattamenti vanno ridotti al minimo. Non bisogna forzare i cicli, ma rispettati. Vanno recuperate le pratiche agricole elaborate per migliaia di anni e ritenute attualmente desuete per la fregola della superproduzione. Si presta grande attenzione alla varietà delle essenze colturali, all’esposizione, ma non si considera il tipo e la qualità del terreno.
La terra va assecondata, è come l’utero per lo sviluppo della creatura umana e…non va stuprata come finora irresponsabilmente è stato fatto con arroganza e becero scientismo, riversando ogni sorta di veleno e pretendendo con tirannia di ottenere raccolti copiosi a discapito della sua identità viva e della sua produttività nel tempo.
“L’”Urtica urens” e l’”Urtica dioica” sono due delle varietà più comuni di ortica con cui si può preparare il macerato. È la pianta intera ad essere utilizzata, sia fresca che secca, eccetto le radici. La proporzione per il macerato con la pianta fresca è di 1 Kg di ortica per 10 litri di acqua, esente da cloro. Generalmente, dopo un paio di settimane il macerato è utilizzabile sia come fertilizzante che come antiparassitario. Ovviamente, dal liquido madre occorre passare alla diluizione imposta dall’utilizzo che se ne intende fare.
Per la concimazione fogliare e per la lotta ai parassiti conviene attendere che il sole, stanco ed annoiato del suo consueto vagabondare per il cielo, imbocchi la rotta del tramonto. Concimando il terreno si prevengono gli attacchi parassitari e le malattie delle piante.
Dalle nostre parti è difficile rinvenire l’equiseto, o coda cavallina, un’antichissima pianta erbacea vegetante in prossimità di canali o pozze d’acqua. Le sue funzioni non si discostano molto da quelle dell’ortica. Efficacissimo anche l’infuso di aglio o cipolla, potente antibatterico per malattie fungine, la mosca della carota, gli acari ed il ragno rosso delle fragole.
Si allunga a dismisura l’elenco delle tantissime essenze erbacee da cui è possibile produrre infusi o decotti per la salute e la salvaguardia delle piante che stanno a cuore: solo per citarne alcune, “assenzio, borsa del pastore, camomilla, consolida maggiore”, …. “peperoncino, pomodoro, salvia, sambuco, tanaceto, timo e valeriana”.
Un languorino si fa largo a grandi falcate nelle avide fauci dei corsisti, e l’interesse verso l’accattivante e documentata spiegazione di Luca gradualmente comincia ad affievolirsi, nonostante il ricorso alla più ammaliante didattica. È l’ora, quindi, di fare la sosta pranzo e socializzare tra i convenuti.
Arrivano nella serra, un fumante pentolone, mestoli, stoviglie, posate ed un bustone di crostini di pane appena tostato. Sollevato il coperchio, una colonna di vapore diffonde nell’aria il profumo della zuppa di legumi. Non si scatena la consueta baraonda sprigionatasi dalla invitante presenza dei buffet, ma ogni altro interesse è, per il momento, accantonato, e la coda umana si snoda paziente.
A dare man forte a Stefania e Silverio, provvedono, i genitori dell’affabile padrona di casa, Angela ed Angelo, bravo anche con il mestolo e nel mescere il rosso di Troia, lui che quotidianamente si destreggia con iniezioni, pillole e ricette.
Piccole balle di paglia accolgono, compiaciute, i convitati che amabilmente dialogano tra un boccone e l’altro I più affamati ritornano nella zona del vettovagliamento, quando i piatti si svuotano o sui bicchieri raminghe goccioline non possono più soddisfare il piacere di una bella bevuta di rosso di Troia, virante dal rubino al granato per la presenza di antocianine, pigmenti idrosolubili antiossidanti.
I fervida hanno avuto la pazienza di aspettare l’arrivo del primo pomeriggio, in attesa che i succhi gastrici dei corsisti cominciassero la metabolizzazione delle bontà culinarie e degli elisir assunti. Ora Luca dispone di due assistenti, gli instancabili suoceri di Silverio, che si mettono all’opera defogliando interi rametti di ulivi appena spuntati da un albero per la preparazione dei fervida, microrganismi effettivi, panacea universale per le piante.
Occorre versare in un barattolo di plastica per alimenti o in vetro 5/10 del volume di acqua bollita e lasciata decantare per eliminarne il cloro. Un decimo dello spazio disponibile sarà occupato dallo zucchero di canna o dal miele. 3/10 è lo spazio riservato alla parte vegetale (frutta, verdura, erbe, radici), ben lavata e lasciata a mollo per almeno venti minuti con acqua e fervida o aceto di mele. 1/10 dello spazio deve essere lasciato libero per favorire la fermentazione aerobica.
Ogni due o tre giorni, bisogna immergere nell’acqua i vegetali che galleggiano, per favorire la proliferazione dei fermenti. Dopo un paio di mesi, non è più necessario ricorrere a questa pratica, perché i vegetali anche se non vanno a fondo pullulano di microorganismi benefici, in grado di difendersi da soli anche da eventuali attacchi patogeni.
Il fervida può essere utilizzato, dopo sei mesi di maturazione, quando è limpido, ha perso il gusto zuccherino e possiede un sapore acetico. È utile non solo per il riequilibrio dei terreni agricoli, ma anche per il proprio benessere, l’igiene personale e quella della casa. Naturalmente, aumentano le cautele, quando viene assunto per la salvaguardia e tutela del proprio corpo, per evitare di imbattersi nel botulino, generoso nel procurare paresi, cecità o morte.
Fioccano domande, come una tormenta di neve, anche su argomenti tangenziali, e le risposte, esaurienti, non si fanno attendere. Vedendo che l’ora volge al tramonto, comincia diffusamente la consultazione dell’orologio o del cellulare.
Ringraziamenti, cordiali strette di mano, annotazione di numeri telefonici o di indirizzi digitali ed… arrivederci alle prossime iniziative culturali ed esperienziali, proposte dall’Azienda. Si accendono i fari delle vetture, fumi scoppiettanti fuoriescono dai tubi di scappamento, e con un misto di mestizia e gioia si imbocca la via del ritorno.