Il lungometraggio “In between”, che arriverà nelle sale italiane ad aprile, ha trasformato la Hamoud nel bersaglio della prima fatwa dei musulmani integralisti palestinesi dal 1948: ecco perché.

I primi Anni Novanta hanno segnato un’evoluzione nel palinsesto televisivo statunitense. Dopo “Beverly Hills 90210” e “Melrose Place”, infatti, il produttore Darren Starr ha lanciato la fortunata serie “Sex and the City”. Ambientato in una sfarzosa New York, lo sceneggiato si dipana davanti allo spettatore attraverso le storie incrociate di Carrie, Charlotte, Samantha e Miranda, quattro protagoniste simbolo di emancipazione e potere femminile.

Oggi, la regista palestinese Maysaloun Hamoud ha, idealmente, spostato il set a Tel Aviv. Il suo film “Bar Bahr” (in arabo “fra terra e mare, in ebraico “nè qui nè altrove”), premiato all’Haifa International Film Festival e al Festival di Toronto, prosegue nel progetto iniziato da “Caramel” della libanese Nadine Labaki, e racconta le vicende di donne “libere, disobbedienti e innamorate“.

Persino ad Umm al-Fahm, città d’origine della Hamoud, è stata vietata la proiezione della pellicola, rea, secondo gli integralisti islamici, di descrivere uno stile di vita che non apparterrebbe al tipo di vita arabo-musulmano. Il film, tradotto da noi col titolo di “In Between”, è la storia di Leila (interpretata da Mouna Hawa), avvocato penalista dalla spiccata indole libertina; Salma (Sana Jammelieh), deejay lesbica diseredata dalla famiglia; Noor (Shaden Kanboura), studentessa musulmana in lotta contro il fanatismo religioso del suo ragazzo, intollerante all’emancipazione delle sue coinquiline. Sono tre ragazze palestinesi, dunque arabe-israeliane, che vengono rispettivamente da Nazareth, Tarshiha e Umm al-Fahm e vivono insieme a Tel Aviv. Tre giovani donne che amano, ridono, bevono, fumano, inseguono desideri e sogni.

Il lungometraggio, che arriverà nelle sale italiane ad aprile, ha trasformato la Hamoud nel bersaglio della prima fatwa dei musulmani integralisti palestinesi dal 1948. Come ha spiegato la stessa regista alle pagine dell’Hollywood Reporter: “Sapevo che il film avrebbe fatto parlare, lo scopo era proprio quello di scuotere il sistema ma non pensavo si arrivasse a tanto. Mi sono sempre mossa in circoli diversi e credo che il cinema sia uno degli strumenti più forti per far cambiare idea alle persone“.

Potere della Settima Arte, potere alle donne…