
A 18 anni aveva sconfitto la sindrome di Guilliain-Barré e a 25 il cancro della corruzione
Un esordio in serie A. A trent’anni suonati. La notizia, di per sé, sarebbe già degna di nota, in uno sport, quello del calcio, in cui la competizione è portata allo stremo e a 18 anni, se non sei ancora entrato nel giro di un club di massima serie, ti considerano ormai vecchio e spacciato.
Già, spacciato. Come Fabio Pisacane, all’epoca giovane calciatore di belle speranze, colpito 12 anni fa da una grave malattia, la sindrome di Guilliain-Barré, che attacca il sistema nervoso.
Carriera finita, gli avevano detto. Del resto, come pensare al calcio se, da un giorno all’altro, ti trovi paralizzato e finisci persino in coma?
Eppure, Fabio non si è arreso. Ha attraversato fino in fondo tutto l’inferno, peggio che Dante nella Divina Commedia.
La sua guida però non è stata Virgilio. La sua guida è stata la passione, la voglia di dare due calci ad un pallone, la determinazione a non mollare mai, a non darsi appunto per spacciato. E neppure per venduto.
Già, perché c’è un’altra storia che lo riguarda e che merita di essere ricordata.
Stagione 2011-2012, Fabio è tornato a calcare i campi di calcio e milita nella Ternana, in serie B. Gli offrono una mazzetta di 50.000€ per far perdere la sua squadra, ma lui non ci pensa due volte: rifiuta la “bustarella” e denuncia l’accaduto. Terni lo ringrazia, conferendogli il premio Tyrus d’oro, e Cesare Prandelli, allora ct azzurro, lo invita al raduno della Nazionale per lodare la sua sportività, la sua capacità di sconfiggere il cancro della corruzione.
E non fa niente se Fabio, davanti ai microfoni, in zona mista, al termine del suo esordio in serie A con la maglia del Cagliari, lo scorso 17 settembre, dice “non ce la faccio” e sbotta a piangere.
Fabio la sua partita l’ha vinta. E per noi è già un campione. Di quelli veri. Molto più di certi fuoriclasse viziati e strapagati.