Corrado Cannone, classe 1987, ultimo di 4 figli, cresce in una famiglia religiosa e porta orgogliosamente il nome di S.E. il Cardinale Ursi, fratello di sua nonna, che gli inculca il rispetto verso il prossimo.
Ha un’autentica passione per la radio, alla quale si avvicina collaborando fattivamente con la web radio andriese “Abbey Reedio”. Crescendo inizia a nutrire un interesse smisurato per la ristorazione, tanto da scegliere di trasferirsi nel convitto di Vieste (FG) per frequentare l’I.P.S.S.A.R. “Enrico Mattei”, dove si diploma nel 2006. Inizia a lavorare in cucina nel periodo scolastico tra Andria, Vieste e la riviera romagnola; completati gli studi, continua il suo percorso lavorativo/formativo nell’ambito della cucina in Italia ed in Svizzera, affinando la sua passione per la cucina e per il vino. Nel 2013 ha l’opportunità di realizzare il sogno di aprire un ristorante nel centro storico di Andria e la coglie al volo, inaugurando la sua attività il 19 ottobre di quell’anno.
Le andrebbe di illustrare il percorso culturale che l’ha portata ad investire le Sue forze economiche, e non solo, nel Suo ristorante?
Dopo un lungo percorso scolastico e professionale, e dopo aver maturato molteplici esperienze in diverse parti d’Italia ed anche fuori dal Belpaese, ho deciso con un compagno di scuola di realizzare un sogno comune: aprire un’attività ristorativa nel centro storico di Andria!
Quindici anni fa il panorama ristorativo andriese vantava pochissime eccellenze e tanta improvvisazione, quindi con lui ed altri amici andriesi parlavamo spesso di questa necessità di dare ad Andria – senza alcun tipo di presunzione – delle forze fresche da cui partire per creare un qualcosa che non fosse, meramente, un luogo dove mangiare e basta, ma un luogo dove i commensali fossero accompagnati in un percorso degustativo che li portasse a scoprire, da un lato, l’importanza dell’utilizzo delle materie prime del nostro territorio nei periodi in cui la terra ce li offre e, dall’altro, la bellezza di sentirsi a proprio agio in un luogo accogliente. Questa è stata la premessa per il progetto EVŌ, che rappresenta per me un punto fermo a cui siamo arrivati e da cui più di 2 anni fa siamo partiti, per diffondere la nostra concezione di ristorazione; da qui EVŌ, l’acronimo di Extra Vergine di Oliva, ma anche EVOluzione, la voglia di non fermarsi alla materia prima “base”, ma di arricchirla con influenze “esterne” per creare gusti ed accostamenti sempre nuovi.
Virginia Woolf sosteneva che un uomo non può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene. In un contesto in cui la quantità sembra prevalere sulla qualità quanto, secondo Lei, si dovrebbe investire su una vera e propria cultura culinaria?
In una società come la nostra, fatta di frenesia e di arrivismo, è difficile inculcare una vera e propria cultura culinaria in chi non vi è predisposto; sotto questo punto di vista devo dire che noto con piacere un certo fermento da parte di molti professionisti della ristorazione e di semplici appassionati, che grazie a tante realtà (come ad esempio quella di Slow Food) stanno aprendo gli occhi rispetto all’importanza del mangiar bene e del bere bene, in maniera sana, giusta, responsabile e sostenibile; ne è la prova il crescente interesse di molte persone nei confronti dei prodotti biologici.
Lei è un giovane imprenditore che ha deciso di avviare un progetto imprenditoriale nel centro storico della città di Andria. Sussiste perfetta sinergia, in questo scorcio storico della città dell’olio, tra imprenditori, amministratori e residenti?
Mi dispiace dirlo, ma purtroppo questa sinergia non esiste ancora e lo dico nella triplice veste di imprenditore, avventore e residente del centro storico!!! Conosco la situazione del centro storico da diversi anni, perché ho una casa e ricordo bene la condizione in cui versava fino a non più di 5 anni fa, quindi sono decisamente contento per il fatto che si sia ripopolato. Credo che il problema di base sia stato la mancanza di dialogo tra gli imprenditori ed i residenti nel periodo in cui il “fenomeno centro storico” è esploso, quando ci si sarebbe potuti sedere a tavolino e discutere pacatamente sugli obiettivi che ognuna delle parti voleva raggiungere senza alcun pregiudizio gli uni nei confronti degli altri; è innegabile che i residenti ed in generale chi è proprietario di un immobile nel centro storico abbia tratto giovamento da questo sviluppo – in termini economici – perché una zona che fino a qualche anno fa era “terra di nessuno” ora è immobiliarmente molto appetibile.
Ora questo dialogo è davvero molto complicato, perché ci sono stati diversi episodi che hanno minato l’equilibrio tra le parti. Abbiamo quindi un assoluto bisogno di un interlocutore istituzionale che si erga ad intermediatore e fornisca certezze a tutti, serve un regolamento che permetta agli imprenditori di lavorare al meglio ed ai residenti di vivere, giustamente, in tutta tranquillità la propria abitazione. Ad ora ci sono solo nubi all’orizzonte e le parti in causa risultano immobilizzate in un limbo.
Oggi Lei, dopo una lunga gavetta, può offrire a tanti giovani un lavoro. Quanto i giovani sono disposti a sacrificarsi; lo stereotipo del “Bamboccione” è poco conforme alla realtà?
Nel settore della ristorazione devo dire che non vedo da parte dei ragazzi che si affacciano adesso a questo mondo la voglia di lavorare, di sacrificarsi e di imparare. Purtroppo la “spettacolarizzazione” del mondo della cucina ha portato tanti ragazzi ad iscriversi agli istituti alberghieri senza prendere coscienza seriamente di quello che una scelta del genere comporta: orari e ritmi di lavoro massacranti (12-13 ore di fila in piedi), il non conoscere più il piacere di una festività passata in famiglia o con gli amici sono fattori che evidentemente vengono sottovalutati da molti ragazzi.
Spesso, invece, ritrovo un autentico spirito di sacrificio in giovani universitari che hanno intenzione di intraprendere altri percorsi, ma si impegnano in questo settore per mantenersi durante gli studi e non pesare sulle proprie famiglie; questo, tuttavia, porta noi ristoratori ad affidarci ad operatori “a tempo determinato” e questo, per il movimento ristorativo in generale, è un peccato, perché si investe tempo nella formazione di persone che una volta concluso il loro percorso formativo cercheranno di fare quello per cui hanno studiato.
Migliorare per avanzare e conoscere per vivere. Quali sogni coltiva per il suo futuro?
Un mio sogno l’ho già realizzato, ma purtroppo la situazione economica non permette di pianificare il futuro a lungo termine e si è costretti a dover programmare giorno per giorno, senza certezze e tra tante difficoltà; la pressione fiscale, i “problemi ambientali”, la mancanza di una seria e sinergica politica turistica ad Andria e più in generale nella nostra provincia ci penalizzano molto!
Sogno di continuare a lavorare in una città che sia degna di essere chiamata tale. Basterebbe davvero poco per renderla più vivibile: maggiori controlli per contrastare il malcostume di molti concittadini e tanti altri cambiamenti di cui Andria ha bisogno per diventare, finalmente, una città. Qualcosa negli ultimi anni è stato fatto, adesso speriamo che ci sia da parte di chi ci amministra il coraggio di prendere decisioni magari impopolari nel breve termine, ma necessarie per questo definitivo cambiamento.