Breve grande storia della Compagnia della Fortezza, dal carcere di Volterra

Immaginiamo che qualcuno ci stia sognando in questo momento proprio come noi immaginiamo di essere al massimo delle nostre potenzialità. Ed è un dovere dare seguito al sogno, trovarne uno sviluppo, attraverso gli altri?

Nel 1988 Armando Punzo regista, drammaturgo e attore, varca il cancello del carcere di Volterra all’interno del quale fonda la Compagnia della Fortezza, la prima esperienza di teatro in carcere, ancora oggi la più longeva.

Nell’arco di trent’anni Punzo ha pensato di trasformare un luogo di pena in un centro di ricerca artistico-creativa.

Lo stesso regista nel libro scritto con Rossella Menna (sua allieva e collaboratrice), Un’idea più grande di me, pubblicato daLuca Sossella Editore, racconta il primo approccio avuto con i detenuti e il suo salto di qualità nel comprendere quanto queste persone avessero un potenziale emozionale immenso da raccontare attraverso voce e corpo. Questa sua idea innovativa di teatro arriva dopo l’adolescenza e grazie all’esperienza che prendeva spunto dal Teatro delle Sorgenti di Grotowski: un ritorno alle radici e al potere della cultura originaria attraverso tecniche di concentrazione che consentono di approfondire i propri parametri di percezione.

Ma cos’è realmente il Teatro Sociale sperimentato da Armando Punzo? Sicuramente non un teatro di riabilitazione mentale poiché non tratta argomenti legati all’introspezione o alla rivelazione dei particolari presenti nelle storie personali dei carcerati. Da qui nasce la necessità di Punzo di presentarsi come artista, creatore di molteplici mondi e visioni, non come operatore sociale e plasmatore di menti. La sua volontà è ancora oggi quella di esporre un corpo recluso, mettendolo a nudo e facendone provare un’esperienza così diversa ma così comune alla propria condizione.

Ci sono inevitabilmente fattori negativi: la Compagnia non poteva e non può essere riconosciuta come le altre, seppur avendo poche date di repliche al di fuori delle mura. Inoltre la fragilità e l’effimero continuano a incombere sulle creazioni, le quali svaniscono e ne restano solo fatica e ricordi, entrambi annebbiati da un ritorno alla normalità anormale.

Il carcere è un luogo che inghiotte tutto e riconquista prepotentemente le sue posizioni, i suoi spazi e gli esseri umani che lo abitano. La libertà è una rivoluzione umana e concreta. La Compagnia della Fortezza la raggiunge andando oltre la superficialità, riscoprendone così le consuetudini e le possibilità che la vita può dare. Allo stesso tempo c’è l’assurdità di una normalità che rigenera in un contesto di chiusura e sofferenza.