La condizione delle donne musulmane, percepite tutte in Occidente come vittime di mariti tiranni e di società maciste, è l’argomento forse più usato dai detrattori dell’Islam, a cominciare dalla tanto citata (talvolta anche a sproposito) Oriana Fallaci. Nel burka, tanto per dirne una, essi vedono il simbolo dell’arretratezza della cultura e della società araba rispetto a quella occidentale.

In un periodo in cui la riflessione sulla condizione delle donne nel mondo è particolarmente sentita, ci siamo chiesti se in seno alla cultura islamica si fosse mai sviluppato un movimento di emancipazione femminile. La risposta è sì, anzi, come spiega Renata Pepicelli nelle sue ricerche, i femminismi islamici sono diversi.

Caratteristica che li accomuna fra di loro e li distingue dai movimenti femministi occidentali, è che le rivendicazioni delle musulmane non vengono legittimate sulla base di valori universali come il rispetto dei diritti umani, bensì sulla base di precetti suggeriti dal Corano e interni alla religione stessa. Secondo loro, non è Dio ad aver assegnato alle donne una posizione di subalternità, ma l’interpretazione che si è data delle sue parole nel corso dei secoli.

Le origini

Una riflessione circa la condizione delle donne nel mondo arabo inizia a fine Ottocento, ecco che sarebbe sbagliato considerarlo un prodotto importato dall’Occidente. Essa muove i primi passi contestualmente alla Nahdah, il movimento di rinascita culturale che dilaga nel mondo arabo fra fine Ottocento e inizio Novecento. Il termine “femminismo” compare per la prima volta in Egitto nel 1909 citato dalla scrittrice Bahiat al-Badiyah nei suoi articoli.

All’inizio ad alimentare il dibattito sulla donna sono soprattutto gli uomini, ma dagli anni venti il numero di donne coinvolte aumenta cospicuamente e nasce in Egitto la prima organizzazione apertamente femminista: l’UFE. Questa diventa presto molto popolare anche grazie a prese di posizione molto radicali delle sue esponenti: nel 1923, due di queste si tolgono il velo in pubblico. Ad ogni modo, nei decenni successivi il movimento si caratterizza per idee di stampo marxista e socialista, solo negli anni Ottanta compare un vero e proprio femminismo islamico.

 

Femminismo islamico

Le ragioni del suo comparire sono sostanzialmente tre: l’esigenza di molte donne in quel periodo di opporsi all’islamismo nelle sue forme più integraliste e patriarcali; la critica all’Occidente e alla sua acritica accoglienza del pensiero universalista dei diritti; il ritorno della religione nella sfera pubblica e privata e una necessaria riflessione sull’assetto da darle.

Secondo le femministe islamiche non bisogna confondere la Shari’a (legge islamica) che è immutabile ed eterna, con le leggi e i codici oggi in vigore, i quali invece sono opera dell’interpretazione umana. Quel che c’è da fare allora è leggere il messaggio di liberazione presente nell’Islam delle origini alla luce delle dinamiche della realtà contemporanea.

Così le loro analisi si focalizzano sullo studio della vita di Maometto e soprattutto delle donne che hanno ricoperto ruoli importanti nella storia dell’Islam, fra cui le mogli del Profeta. Una su tutte Aisha, la più amata, che dopo la morte di suo marito avrebbe guidato un esercito contro il quarto califfo, Ali, dimostrando che non è vero che le donne musulmane sono escluse dai ruoli di potere.

Altra argomentazione molto usata dalle femministe è quella di far notare quanto l’Islam migliorò la condizione delle donne rispetto alla Jahiliyya, l’era preislamica. Dopo la comparsa di Maometto, infatti, le donne non furono più allontanate dalle proprie case durante il ciclo mestruale, poterono chiedere il divorzio dopo 4 mesi di astinenza sessuale imposta dai mariti, ebbero diritto all’eredità, poterono evitare i matrimoni forzati, non poterono più essere fatte prigioniere di guerra.

Strumenti teorici e versetti problematici

Lo strumento cardine del lavoro teorico delle femministe musulmane è l’ijtihad, ossia lo sforzo d’interpretazione delle fonti. È con questo che le autrici tentato di reinterpretare il Corano, la Sunna (l’insieme di regole, azioni e taciti assensi di Maometto) e gli hadith (i racconti o “detti” attribuiti a Maometto) in chiave antipatriarcale e progressista. Va detto che dal X-XI sec. il ricorso all’ijtihad è stato proibito nell’Islam sunnita e gli stessi giureconsulti non possono rifarsi direttamente ai testi sacri.

Le femministe tuttavia contestano questo divieto e nel loro lavoro di revisione mettono in dubbio soprattutto i versetti più problematici. Fra questi vi è sicuramente il versetto 34 della IV Sura che nella prima parte recita “gli uomini sono preposti alle donne perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle”. Tale passo è sempre stato usato per giustificare la superiorità maschile, ma secondo le femministe quello che esso vorrebbe dire è che il Corano impone una suddivisione dei compiti e l’uomo deve occuparsi di mantenere la donna durante la gravidanza e l’allattamento.

Personaggi e movimenti

Le femministe musulmane costituiscono ormai un nutrito gruppo di autrici e attiviste ciascuna caratterizzata da precise istanze e peculiarità, tanto che si può inquadrarle sotto un’unica etichetta solo a costo di qualche forzatura. Fra le maggiori ci sono sicuramente l’afroamericana Amina Wadud, la pakistana Asma Barlas, le marocchine Fatima Mernissi e Asma Lambaret. Fra i movimenti più attivi è doveroso annoverare il malese Sisters in Islam, il network internazionale WLULM (Women living under muslim laws) che monitora la condizione femminile in tutto il mondo islamico, il GIEFRI (Groupe International d’études et de réflexion sur femme set Islam) che svolge attività di centro di ricerca.

La prima conferenza internazionale sul femminismo islamico si è tenuta a Barcellona dal 26 al 28 novembre 2005. Uno dei risultati più apprezzabili a cui ha portato tutto questo fermento teorico e sociale, invece, è stata la riforma della mudawwana marocchina (il Codice della famiglia). Entrato in vigore nel 1953, si tentò di cambiarlo più volte (1961, 1968, 1982) ma solo nel 1993, a seguito di una grossa campagna delle femministe che raccolsero un milione di firme, il re Hassan II diede il suo assenso alla riforma. La revisione non accontentò tutte le rivendicazioni delle attiviste, tuttavia sancì l’uguaglianza tra i coniugi basandosi su letture progressiste del Corano.

Le islamiste

Oltre al femminismo islamico di stampo chiaramente progressista, un attivismo femminile è nato anche all’interno dei gruppi islamisti, quello generalmente chiamato “Islam radicale”. Il fenomeno si è avuto dalla fine degli anni Novanta grazie ad una sempre crescente presenza di donne militanti in queste organizzazioni.

Ciò che differenzia le posizioni delle islamiste dalle femministe islamiche è che spesso le prime vedono il loro impegno sociale come un cammino di fede dovuto per conquistarsi il paradiso. La loro richiesta di uguaglianza si limita dunque alla vita pubblica, ma all’interno della famiglia esse accettano un ruolo subordinato.

In conclusione si potrebbe dire che forse è giusto tenere presente, come fa notare la già citata Asma Lambaret, che il simbolo dell’Islam è il Corano e il calamo, non il Corano e la spada, come qualcuno vorrebbe che sia. Quel calamo sta a dire che la religione deve spingere l’uomo alla conoscenza e con essa cercare forme sempre nuove di libertà.


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