La cronaca nazionale è stata di recente attraversata da una notizia che molto ha fatto discutere: l’arresto, ad Andria, di un’insegnante accusata di aver picchiato, aggredito verbalmente e umiliato ripetutamente i suoi alunni di scuola elementare.
Come spesso accade in queste occasioni, l’opinione pubblica si è subito divisa in giustizialisti e garantisti, con una separazione netta tra chi, data l’evidenza delle immagini, ha già sentenziato la sua condanna senza possibilità di appello e chi, anche tra genitori di ex allievi della medesima maestra, ne ricordano la grande umanità e la passione per i suoi discenti.
Ed è proprio quest’ultima sottolineatura che mi ha fatto riprendere in mano un testo la cui lettura avevo da poco terminato. Si tratta de L’ora di lezione, di Massimo Recalcati (Einaudi 2014).
Un libro che mi è stato donato proprio in quanto chi scrive è un docente. Un libro che mi ha subito attratto non tanto per il suo titolo quanto per il sottotitolo: Per un’erotica dell’insegnamento.
Si dirà: che c’entra l’eros con l’insegnamento? Risposta: tutto. Proprio tutto. Da Socrate e Platone in giù, non c’è mai stato insegnamento senza attrazione, senza grandi passioni, senza amore. Studium significa appunto “passione, desiderio, sete di conoscere”.
E questo vale per ogni insegnante e i suoi discenti, a qualunque grado essi si collochino.
Chiaro che questo comporta un’enorme responsabilità per l’insegnante che, scrive Recalcati, deve far sì che l’amore dalla sua persona transiti sulla passione per l’apprendimento, sulla scoperta del piacere di sapere e di saper sapere.
Ma a grandi responsabilità corrispondono grandi rischi, grandi margini di errore e anche la necessità di comprendere chi, quando, dove, come e perché ha sbagliato.
Senza entrare nel merito della vicenda da cui prende spunto questo articolo, non v’è dubbio, e Recalcati lo ribadisce continuamente nel suo libro, che il contesto è cambiato, che l’alleanza insegnante-famiglia è venuta meno e che si è passati da “il prof ha sempre ragione” a un prof sempre sotto inchiesta, reo di non avere “gratificato” a sufficienza i propri figli.
Essere insegnanti oggi comporta una buona dose di solitudine: perdita dell’aureola sociale, scarsissima gratificazione economica, continue vessazioni da parte di chi ci governa e indebolita solidarietà dei genitori non contribuiscono di certo a far sentire i docenti meno soli.
Eppure, scrive Recalcati, “un’ora di lezione può cambiare la vita”. Per questo, sostiene, gli insegnanti non dovrebbero rinunciare al loro compito – che è quello di insegnare – non dovrebbero ridursi a meri compagni di giochi dei loro allievi. E si ricordi che, dal latino, “insegnare” vuol dire proprio “porre un segno dentro”.
Mi sia permesso, una tantum, condividere col benevolo lettore un ricordo. Alle elementari sono stato molto discolo – molti sostengono che lo sia ancora. La mia maestra, che tanto mi voleva bene, mi ha dovuto spesso mettere in castigo – allora si usava così. Ricordo di essere stato in ginocchio dietro la lavagna, ricordo il mio banco separato da quello degli altri per essere messo vicino alla cattedra, “a portata di bacchetta”, e ricordo quella bacchetta rotta sul mio capo…
Oggi, però, ogni volta in cui vado nel cimitero del mio paese natio, a portare fiori sulla tomba di mio padre, passo sempre a salutare la tomba della mia maestra. Che avrà certamente usato mezzi troppo rudi e violenti per un bimbo delle elementari, ma che non ha mai smesso di farmi sentire quanto mi volesse bene. Ricordo ancora le sue parole: “Voi avete tre mamme: una è in cielo, ed è la Madonna, l’altra vi aspetta a casa, la terza sono io…”. RIP.