Ammesso e non concesso che li faccia…

Non mi va. Perché dovrei programmare, imbastire piani, anche solo immaginare la forma sbiadita di un futuro?

Ogni fine anno entro in un Tiger, compro un bel quaderno nuovo, pulito, lindo e sulla prima pagina, quella con le tre righettine centrali, scrivo a chiare lettere il mio nome (il mio nome sui social a dire il vero) e sotto “Propositi per il nuovo anno”. Sperando di non tornare troppo indietro nel tempo, ad esempio fino in terza elementare. La mia calligrafia di merda scongiura questo rischio. Calligrafia come quella della terza elementare.

Sapete cosa altro porto con me dalla terza elementare? La poca voglia di uscire. Se allora era indotta, adesso è imposta. La legge dello stato c’entra poco. Così come il daltonismo che ne consegue. È pura reazione:il mio atto di ribellione alla trasgressione ai decreti, all’assembramento coatto, alla voglia improvvisa di visita ai parenti di grado ormai cimiteriale è la segregazione perenne e totale. Mi cancello dall’esistenza altrui, acuisco la mia malcelata misantropia e mando a cagare la mia stessa voglia di uscire.

Ebbene sì. Annunciazione, annunciazione: io voglio uscire. Voglio fare quello che più odiavo fare. Voglio tornare a scegliere cosa odiare, non odiare le cose che per forza di cose devo odiare. Vorrei prendere quel quaderno e scrivere a chiare lettere su ogni singola pagina nuova, pulita, linda “VOGLIO USCIRE, PORCA PUTTANA!” ma non mi va. Non mi va di uscire, non mi va di fare propositi, non mi va di vivere una vita che per puro senso di responsabilità dico “mia”, ma in realtà è la brutta copia in carta carbone di milioni di altre vite che in questo momento milioni di altre persone, per puro senso di responsabilità, dicono “propria”.

L’incoerenza è diventata la mia miglior compagna, perché ho scordato le altre. Perché ho scordato me stesso. Gli specchi di casa non aiutano, perché riflettono l’immagine di un tizio a cui le cose stanno andando bene, anche solo per il fatto di essere in piedi, perdendo tempo a specchiarsi.

L’anno prossimo voglio tornare a lamentarmi senza scrupoli di coscienza. Lo so, non è un proposito: è una preghiera. Di quelle che da bambino ripeti a denti stretti, perché al padre eterno un bambino dovrebbe chiedere di guarire la nonna, di portare la pace nel mondo, non di ricevere come regalo per la Prima Confessione il Game Boy Advance con Pokémon Rubino.

Ma non sai resistere alla tentazione, quindi pecchi e allo stesso tempo trovi qualcosa di davvero tuo, sporco, irrimediabilmente segnante da raccontare al prete. Espiata ogni colpa, esci dalla chiesa. Sei raggiante. Brami la ricompensa che è stata il tuo primo incontro con il peccato, la tua discesa agli inferi senza mantovani che ti ronzano attorno.

Stai per rivedere le stelle, lo sai. Con la mente sei già sul divano di casa a pigiare in maniera compulsiva il tasto A, mentre provi a catturare uno Zigzagoon a livello 3 che ti è pure capitato shiny, vedi il culo certe volte. Chiudi gli occhi, tendi le braccia, distendi le mani, riapri gli occhi. Orologio da 19,99€, tipo quelli esposti nelle teche girevoli all’ingresso dei negozi di bigiotteria, sulla destra, color azzurro turchino. Famiglie coinvolte nel regalo: sei.

No, non farò propositi. Ma ho un auspicio per l’anno nuovo: che l’orologio funzioni. Mi basta questo.


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