L’emergenza educativa richiede un nuovo patto sociale

L’emergenza educativa richiede un nuovo patto sociale

Da anni si parla di “emergenza educativa” come di una delle sfide antropologiche più impegnative del nostro tempo. In effetti l’emergenza c’è e non è difficile focalizzarne le cause, che sono molteplici, variegate e tra loro interconnesse: dalla crisi di identità istituzionale della famiglia, l’agenzia educativa per eccellenza, al degrado di determinati contesti nei quartieri periferici delle città, compresa la nostra; dalle difficoltà economiche, che affliggono molti nuclei familiari, alla carenza o alla insufficienza degli interventi, da parte delle pubbliche istituzioni, in situazioni di criticità esistenziale e di emarginazione sociale; dalla frattura tra generazioni, effetto della mancata trasmissione di certezze e di valori, al fenomeno macroscopico della dispersione scolastica, nonché all’insicurezza ed alla mancanza di prospettive circa il futuro.

Noi consideriamo l’educazione un processo umano globale, nel quale entrano in gioco e sono determinanti soprattutto le strutture portanti, i fondamentali dell’esistenza dell’uomo e della donna, quali la relazionalità e il bisogno d’amore, la conoscenza, (con l’attitudine a capire e a valutare), e la libertà, che richiede anch’essa di essere fatta crescere e di essere educata, in un rapporto costante con la credibilità e l’autorevolezza di coloro che hanno il compito di educare.

Il semplice fatto di nascere uomini implica, dunque, che abbiamo bisogno d’educazione. È solo grazie all’educazione che diamo un senso alla nostra vita, trovando buone ragioni per amarla e per soddisfare i nostri desideri di libertà e di felicità. Di qui la riflessione affascinante e nel contempo decisiva che il fine dell’educazione non è quello di creare buoni cittadini, o buoni cristiani, o altro ancora, ma uomini veri, uomini che sappiano intraprendere la propria strada in un mondo che altri ci hanno lasciato, che possiamo anche decidere di cambiare, ma nel quale dobbiamo sentirci in primo luogo a casa. Sentirci a casa nel mondo, appassionarci alla vita: questo è, in definitiva, il fine dell’educazione.

A questo punto si tratta di modificare la rotta, rispetto ad una certa pedagogia dominante in questi ultimi quarant’anni, che ha ridotto progressivamente l’educazione a pura socializzazione, nonché a trasmissione tecnica di saperi e di particolari “abilità”; si tratta di recuperare la dimensione della relazione; di acquisire e consolidare la consapevolezza che l’istruzione e l’educazione implicano un compito multidisciplinare, una nuova alleanza ed un nuovo patto sociale: le politiche educative sono una responsabilità collettiva, chiamano in causa ed interpellano l’intera comunità attraverso la creazione di reti permanenti di contatto tra scuola, insegnanti, famiglie, enti locali, associazioni, agenzie educative ed altri attori protagonisti dell’educazione non formale, in altri termini l’intera società civile.

La convinzione della centralità del processo educativo e formativo può e deve trasformare le criticità in opportunità, le negatività in positività, lungo un cammino che, come si è detto, registri l’azione sinergica e concordante delle famiglie, (in particolare di quelle che manifestano carenze sul piano educativo e che, di conseguenza, vanno sostenute ed aiutate); delle singole comunità scolastiche, che ci si augura possano dedicare tutte le loro energie per rispondere ai bisogni di crescita culturale dei bambini, preadolescenti ed adolescenti; di tutte le forze sane della società civile; delle istituzioni politiche, le quali devono capire che la maggiore o minore attenzione riservata al sistema dell’istruzione e della formazione costituisce l’input per la crescita umana, civile, sociale, etica del Paese, o della sua decrescita.

In questa ottica si collocano gli incontri della Primavera Pedagogica, che, attraverso una serie di azioni pilota, quali lezioni magistrali, workshop, convegni, momenti conviviali, perseguono l’obiettivo di suscitare il confronto sui temi pedagogici promuovendo e veicolando la necessità che tutti i cittadini di

Andria diventino parte attiva di una comunità educante.


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Sono Rosa Del Giudice, già docente di italiano e latino presso il Liceo Scientifico "R. Nuzzi" di Andria dal 1969/70 al 1998/99 e, ancor prima, docente di italiano e storia presso l'ITIS "Sen. Jannuzzi" di Andria. Attualmente sono la rappresentante legale del Centro di Orientamento "don Bosco", che dal 1994 è un'Agenzia Educativa molto presente sul territorio andriese in quanto si occupa di temi pedagogici ad ampio spettro, promuovendo ed organizzando, prioritariamente, attività in due ambiti: l'orientamento scolastico nelle ultime classi delle secondarie di 1° grado, finalizzato a ridurre il fenomeno della dispersione; la formazione dei docenti, che la L.107 su "La Buona Scuola" opportunamente considera come obbligatoria, permanente e strutturale. Non lesino il mio contributo all'interno di Associazioni che si battono per il perseguimento del bene comune ed il riconoscimento dei diritti a quanti vivono nelle periferie esistenziali del mondo.