Cento, mille briciole di complessità da un secolo di vita

Da  ogni singolo vissuto caratterizzato da un  particolare modo di vivere le ‘rugosità del reale’ anche se in preda all’’immediato’, si possono ‘derivare’ dei ‘memento’ come ci ricorda Edgar Morin nell’attraversare il suo secolo di vita; e ci vengono consegnati molto umilmente come    frutto del non comune peso epistemico  emerso dal suo vivere  nelle ultime pagine di Lezioni da un secolo di vita (trad. it. Milano-Udine, Mimesis, 2021 con prefazione di Mauro Ceruti, collana ‘La sfida della complessità’). Tali lezioni possono sembrare delle semplici briciole, ma ognuna è il precipitato di una determinata  esperienza vitale dove si condensano le diverse ragioni del Novecento e prendono piede  quelle del nuovo secolo; e come tali possono fare da guida per una umanità in cerca di sé stessa se ha in mano la “coscienza ed il senso della complessità”, una volta che ha preso atto che sono poche e spesso illusorie “le isole di certezze” presso cui si è ‘rifornita’. Se esse hanno un senso veritativo sempre “intelligibile a posteriori”  nel raccoglierle come briciole a cui fare riferimento, è perché sono il frutto dell’aver messo in atto in una non comune visione di insieme il percorso kantiano imperniato sullo stretto rapporto tra conoscenza, responsabilità e speranza, che se ‘disgiunte’ e rese incommensurabili tra di loro portano, come ha sostenuto  con altre parole  Jean Petitot, alla ‘catastrofe razionale dell’uomo’ con esiti totalitari e dogmatismi vari di cui è lastricata la storia soprattutto del primo Novecento.

I cento anni di vita o i ‘cento Edgar Morin’, attraversati da più esperienze che poi sono il “germe del suo pensiero filosofico”, lo hanno portato a concretizzare tale progetto non solo di ordine teoretico, ma esistenziale condensato in questo “piccolo gioiello di pensiero complesso” che è Lezioni da un secolo di vita, come lo definisce Mauro Ceruti nella prefazione anche perché in esso “si riflettono le complessità della storia del secolo planetario”. In tale percorso era quindi “ineluttabile” porsi la cruciale domanda tipica della conoscenza  che poi riflette la “condizione umana” dove “prima di ogni credenza e di ogni speranza, come aveva enunciato Kant, è necessario sapere cosa è l’uomo”, fatto da  diverse articolazioni con varie “bipolarità” che lo caratterizzano come Homo sapiens e Homo demens, Homo faber e Homo fideliso religiosus e mythologicus, Homo oeconomicus e Homo ludens e liber; in tal modo Morin arriva a diagnosticare dentro di sé e nell’umanità più in generale “quattro demoni” antagonisti e complementari “che sembrano nello stesso tempo possederci dall’esterno e ispirarci dall’interno: ragione/religione/scetticismo/misticismo”. Certa modernità, ad eccezione di Blaise Pascal, figura che fa da sfondo al percorso di Morin e sempre tenuta presente come una specie di sentinella contro ogni tipo di riduzionismo antropologico e teoretico per la sua importante idea di ‘scommessa’, si è illusa di poter ergersi su una sola di queste opzioni e di tenerle separate col sottovalutare le “relazioni fra razionalità/passione/delirio/fede/mito/religione sempre mutevoli e flessibili, permutabili, instabili e modificabili” con tutte le “derive che  a livello individuale come a livello di una nazione” simili scelte comportano.

Una delle tante  briciole con cui confrontarsi è quella di  prendere atto che “l’umano non è né buono, né cattivo, è complesso e versatile” e attingendo dal sapere teologico, Morin arriva a dire che lo stesso individuo si regge sulla “Santa Trinità, trinità complessa individuo/società/ specie che definisce l’umano” dove “ogni elemento è generatore degli altri e generato da altri”; e anche se si annidano  nelle nostre menti “miti, religioni e ideologie che sono diventati padroni ed esigono adorazione e sacrifici” in quanto spesso pur ‘svegli, dormiamo’ come già diceva Eraclito, a volte nella storia dell’umanità si assiste all’imprevedibile grazie al “cammino dello spirito sotterraneo”, al “lavoro sotterraneo della coscienza” come nel caso di certe figure  come Gorbačëv e Papa Francesco che sono riusciti a “trasformare” i loro universi di appartenenza in progetti più orientati verso la soluzione di problemi planetari col diventare “dei portavoce del genere umano”.

Un’altra briciola di non poco conto da coltivare, a partire dall’insegnamento, è quella di  fare emergere, sia a livello individuale che collettivo, “la coscienza delle complessità umane, così spesso mascherate dai semplicismi, dagli unilateralismi e dai dogmatismi”; e questa è la condizione minima per poter accedere ad un ‘umanesimo rigenerato’ che nel fare tesoro “del riconoscimento della complessità umana”,  è in grado di tracciare la strada, sia pure molto lastricata, ad un principio di speranza dove “sperare significa sperare l’insperato” e preparare il terreno del “possibile ancora invisibile”  col prendere decisamente le “parti di Eros” anche se tutto ciò che ci circonda sembra portare Thanatos ad “essere il vincitore” per la “gigantesca crisi” a cui l’umanità è pervenuta. Se dalle scorie di certa  modernità emerge il fatto che fede, ragione, dubbio e religione si sono a volte “combattute”, è arrivato il momento per Morin di coglierne la lezione per arrivare ad “alimentarsi a vicenda” come avvenne nella vita di Pascal; la fondamentale briciola-scommessa da cogliere è quella di capire che ognuna di esse può “mostrare i limiti” delle altre, “nutrire il dubbio” per poter accedere ad un “ordine di realtà superiore” che nessuna può da sola arrogarsi il diritto di arrivarci e lasciare così spazio all’”irruzione dell’inatteso”.

Ma sono gli ultimi eventi come gli “effetti perversi della mondializzazione tecno-economica, del dominio universale del profitto”, la crisi universale delle democrazie, il sorgere anche in “Europa di regimi autoritari”, il “neototalitarismo della Cina fondato sulle sorveglianze elettroniche”, la “crisi planetaria nata dalla pandemia di Covid” che richiedono una coscienza critica dal fatto “che il ritorno della barbarie è sempre possibile e nessuna acquisizione storica è irreversibile” sulla scia di ciò che diceva Rabelais: “Scienza senza coscienza non è che rovina dell’anima”. Oggi abbiamo questa piccola ma formidabile briciola di sapere la rovina che ci aspetta se non si prende coscienza, come già veniva detto da Morin in Terra-Patria, dell’essere una comunità di destino, dell’essere tutti sulla stessa barca e di preparare il terreno ad una umanità rigenerata che “giunta ad una crisi gigantesca in cui si gioca il destino della specie” possa ritrovare in sé stessa la forza per contribuire ad una “metamorfosi da cui nascerebbe un nuovo divenire”.

Come ultima   lezione-briciola che possiamo più fare nostra e sempre “frutto congiunto” di tutte le sue esperienze, è quella che Morin chiama “circolo virtuoso in cui cooperano la ragione aperta e l’amorevole benevolenza”; tale ‘memento’ si rivela strategico come vera e propria “igiene mentale” dove è importante mettere da parte le dottrine che pretendono di dare una risposta a tutto mentre l’ottica della complessità è quella di porre tutto come problema e nello stesso tempo di criticare le “idee, non le persone”. Ma tale ottica non può prescindere da una autocritica, ritenuta una “igiene psichica essenziale” che ci porta a dare un giusto rilevo epistemico al “comprendere l’incertezza del reale” e ai suoi mille significati per lo più nascosti, come diceva Simone Weil, dove alberga “il possibile anche se invisibile”; in tal modo ci troviamo di fronte al “Mistero, alla porta chiusa del mistero” e invece di dare adito alla “rabbia specificatamente umana” colla necessità di trovarvi anche un “vaccino” contro tale atteggiamento, dobbiamo cercare di “vivere con la crisi” e trarre una ulteriore lezione dalla crisi provocata dal Covid, che è in definitiva il venir meno di una certa idea di modernità fondata sul fatto che l’uomo poteva “dominare la natura e diventare il dominatore del mondo”. Invece l’esperienza del Covid ci insegna a ritrovare la nostra umiltà in quanto immersi in “un’Avventura, un’Avventura nell’ignoto, l’Avventura inaudita della specie umana”.

Con queste cento, mille briciole che Edgar Morin ci consegna in questo piccolo ‘gioiello’ di vademecum del pensiero complesso, certo non si può essere del tutto soddisfatti come del resto ci insegna il più sano pensiero filosofico-scientifico che per sua natura non dà mai risposte definitive anche se tenta di aprire un varco nelle reti del ‘Mistero’ che ci circonda, una volta che ci siamo disinfettati sul terreno epistemico dai punti di vista unilaterali e ad una dimensione (La complessità come disinfettante, 27 agosto 2020); ma sono comunque dei ‘memento’ indispensabili per creare le condizioni di base per una ‘amorevole benevolenza’ per chi naviga nelle acque sempre incerte e a volte umilianti della conoscenza e per coloro che ne sanno beneficiare facendone tesoro nel senso biblico del termine (Il biblico ‘far tesoro della scienza’, 11 giugno 2020). Il pensiero complesso è il risultato di una lenta e faticosa metabolizzazione di questo continuo e difficile percorso teso a ’fare tesoro’ in ogni ambito dell’umano delle esperienze acquisite; e quest’ultimo lavoro di Edgar Morin, a differenza di altri più impegnativi sul terreno teoretico, ce lo consegna come un  compagno di viaggio con cui condividere tale percorso e soprattutto ce lo fa sentire come facente parte della vita di ognuno.