Perth, maggio 2023
The Way Back – quindicesima puntata
Aprire all’immigrazione, what else? Past Lives di Celine Song
Parliamone. In Australia solo nella categoria insegnanti ne mancano circa 12.000. I posti apicali – CEO scoperti – nel solo Western Australia sono almeno 28, mi diceva un professore della Curtin University. Da poco è uscito un articolo sul Canada che sta mandando reclutatori in giro per trovare decine di migliaia di agricoltori ed altre tipologie di lavoratori a cui naturalmente offre un permesso di lungo soggiorno, una terra da coltivare in proprio, oltre alle mansioni contrattuali da agricoltore in una Company. Anche l’Australia sta mandando reclutatori in giro per il mondo anglofono per reclutare docenti. Non conta più la qualifica ma il corpo. Manca il corpo insegnante da mettere in aula. Manca il corpo come dice la mia amica insegnante a Perth.
In Italia la faccenda si complica perché oltre all’epocale pensionamento generazionale dei babyboomer nei prossimi dieci anni, c’è anche la progressiva inarrestabile denatalità e tutti i provvedimenti normativi servono solo a riempire le strade di eserciti di irregolari per cui i datori di lavoro non hanno obbligo o possibilità di pagare le tasse.
Non è solo la loro dignità che viene lesa. Non è solo l’evasione fiscale che viene esaltata. Sono anche le nostre scuole, i nostri Ospedali e le nostre pensioni che non vengono finanziati.
Ma chiedere alla politica di saper fare il suo lavoro, cioè programmare e gestire la complessità a monte per non doverla subire a valle è come chiedere alle rape di cavarsi il sangue da sole.
Come dice la mia amica napoletana in tema di immigrazione c’è un “tortano senza ‘nsogna”, un “casatiello senza strutto”.
E intanto la governante che lavora da me non dimentica le sue origini e continua a comprare terre agricole nelle Filippine e pensa sempre che lei un giorno tornerà nell’isola di Mindoro.
Il ritorno è una procedura complessa. Nostos con o senza algos. I suoi figli sono Italiani a tutti gli effetti anche se devono aspettare diciannove anni di tortura per la cittadinanza. Dubito che andranno a Mindoro anche perché sono alquanto avulsi dalla lingua e dalla cultura.
I Greci che si insediarono in Magna Grecia, probabilmente non solo per spirito di avventura ma anche per crescita demografica e poca disponibilità di terre coltivabili, avevano bisogno del ritorno. Ma il loro ritorno era un’andata perché la Magna Grecia per loro era un sogno già sognato e un passaparola, un “tam tam” della tradizione orale.
Un po’ come è il working holiday visa oggi in Australia per molti giovani europei.
Sognano il visa come se l’Australia fosse per loro un ritorno, ma invece è un’andata che loro hanno già interiorizzato come lungo ritorno a casa in Italia perché partono determinati a restarci.
Io ho sognato per due decadi il ritorno a Napoli. Dicevo sempre che quando mio figlio avesse compiuto diciotto anni il mio lavoro sarebbe finito ed io sarei tornata a vivere a Napoli da sola.
La mia amica da sette anni è qui in Australia e dice sempre che vuole tornare a Roma. Ora il figlio è vicino ai diciotto anni. Le ho detto che il progetto si potrebbe concretizzare. Mi ha risposto che non è pronta.
Il punto è questo. Non sei pronto per il ritorno quando il momento si avvicina.
È più facile trovare il coraggio dell’andare che non quello del tornare.
Oppure fai come i Greci, lo chiami ritorno ma invece vai.
Oppure sogni il ritorno ma un bel giorno ti accorgi che lui sta per arrivare e tu non lo vuoi più. A me è capitato così. Quando finalmente avrei potuto fare il concorso per preside in Campania una collega Siciliana vissuta prima a Firenze e poi a Roma mi dissuase. Fu assertiva ma convincente. Mi disse: – La tua vita è qua, tuo figlio è nato qua, ma dove vai? -.
Tutte le persone che conosco che sono partite da Napoli hanno solo venduto. Non hanno mai investito a Napoli, vivendo altrove.
Davvero la mia adorata governante crede che a Natale i suoi figli andranno a trovarla a Mindoro?
E che gusto avrà la vita per lei a Mindoro se non ci andranno?
Credo che lei metta in conto che faranno la loro vita lontano da lei.
Noi però, incluso lei, siamo andati a trovare i nostri genitori fino allo sfinimento, lontano.
In particolare con mille chilometri al mese mio marito ha superato chiunque altro in pazienza e devozione.
Ma noi siamo figli del nostro tempo e in un certo senso credevamo di doverlo fare.
Noi però apparteniamo ad un’età di mezzo e non abbiamo lasciato intendere ai nostri figli che loro lo debbano fare.
Questa potenza creativa dell’educazione che ci siamo inventati compromette i nostri ritorni.
E in definitiva se anche così non fosse esattamente dove si colloca il nostro spaesamento?
Il punto è che il nostos non ha delle coordinate sul GPS.
Se chiedi a Google Map “portami a Nostos” lui non lo sa dove è il tuo algos e forse neanche tu lo sai.
L’esilio è una cosa seria. Confonde la gente determinata. Chi fu determinato a partire non sempre trova la determinazione per tornare.
Alla fine l’algos dell’esilio è confuso dallo spaesamento. Ti manca un arto amputato ma quando torni c’è sempre qualcosa che ti ricorda perché te ne eri andato, dice l’altra mia amica inurbata a Torino.
Oggi in questa casa di Perth in cui viviamo tre donne, cinque cani e due gatti c’è il covid.
Il risultato è che i cani sono pieni di ansietà. Ci seguono e abbaiano anche se andiamo in bagno.
Anche loro sognano il ritorno della normalità. Noi tutte “impaccate” sui divani a bere vino con loro cinque addosso e il gatto che salta e l’altro selvaggio che si aggira e il ragno Fred sui muri di notte.
Questo per loro sarebbe il ritorno. Noi isolate in varie camere è per loro algos destabilizzante.
Ai CPIA non arrivano solo i lieti ricongiungimenti familiari che poi tanto lieti non sono mai a ben vedere. Sono sempre laceranti per qualcuno in particolare. Arrivano anche altre storie tutte liete perché si tratta di gente che è arrivata viva senza prendere l’aereo e che mangia e dorme altrimenti, secondo la teoria dei bisogni primari di Maslow, non sarebbe venuta a scuola.
Però alle spalle hanno l’inferno. Sono fuggiti da cose orribili o da traumi indescrivibili e prima di arrivare, molti per mare su barche di fortuna e spesso fatiscenti, hanno trascorso mesi orribili attraversando paesi e deserti e lavorando lungo la strada o sono stati detenuti o violati in Niger o in Libia per lo più e in genere sono stati anche maltrattati e derubati e hanno visto qualcuno accanto a loro morire lungo tutto il percorso.
Quando il docente di un nostro gruppo di lavoro dice che non dobbiamo intervistarli sul viaggio perché violiamo la loro intimità dobbiamo chiederci se tanto dolore ingiustamente causato da mille retoriche non meriti una voce, un grido almeno.
Hanno tutti il cellulare perché quello è il loro vero salvagente. Sono spesso minori non accompagnati. Ma anche se sono adulti hanno lo sguardo smarrito quando accettano di parlare del viaggio. Un docente vorrebbe che io non chiedessi del viaggio per non turbarli. Io lo faccio sempre.
Devono imparare ad urlarlo il loro viaggio perché è la nostra vergogna.