“Questo non è amore

“Questo non è amore”: è violenza. E va denunciata.

“Questo non è amore” è l’iniziativa della Polizia partita nelle settimane scorse contro la violenza sulle donne. In contemporanea in 14 province italiane viaggeranno dei camper che ospiteranno equipe di operatori specializzati per stabilire un contatto diretto con le donne e farle sentire protette e supportate. Un obiettivo arduo visto che gli episodi di violenza e gli omicidi delle donne diventano sempre più frequenti.

Ultime due vittime una donna accoltellata a Reggio Emilia e una moglie a cui il marito ha dato fuoco a Lecce. Ancora violenza. Ancora violenza contro le donne. A volte si tratta di cronache di morti annunciate, a volte i carnefici sono persone insospettabili, uomini normali. Non ci sono più parole, commenti, ma solo una domanda: e la legge dov’è? La legge 119, quella legge entrata in vigore nel 2013, perché non funge da deterrente? Forse perché prevede una serie di attenuanti che permettono ai rei di farla franca nel giro di qualche anno dalla condanna con la semilibertà. E se si prevedesse l’ergastolo o comunque l’inasprimento della pena? È partita proprio una raccolta firme ad hoc, ma i tempi non sono brevi. Nell’attesa non si può restare a guardare, perché alcuni piccoli provvedimenti da mettere in campo subito ci sono, come sbloccare e rendere immediatamente spendibili i finanziamenti della legge 119, spesso rimasti inutilizzati nelle casse delle Regioni, impedire la chiusura dei centri antiviolenza e completarne la mappatura per evitare che i finanziamenti vadano a strutture improvvisate come nel 2013/14, stabilire procedure da parte del Governo per evitare che il Piano antiviolenze resti tale solo sulla carta.

Che ben vengano allora iniziative come quella promossa dalle polizia, così come è bene sapere che ci sono alcune app salvadonne per gli smartphone, da Save the woman a Siamo sicure, a Watch over me, un piccolo aiuto che viene dalla tecnologia semplicemente a portata di click.

Educare al rispetto e all’emotività devono essere però i primi passi fondamentali. Intanto bisogna iniziare dalla famiglia, il primo mondo che i bambini conoscono: le relazioni tra i genitori saranno per loro un modello da mettere in atto o da cui distaccarsi. È importante, soprattutto per i maschi, impartire l’educazione emotiva, cioè insegnare loro a riconoscere e dare un nome alle proprie emozioni, senza lasciare che queste crescano incontrollate.

Così come sarebbe opportuno coinvolgere le scuole, perché è proprio tra i banchi che si forgia il pensiero degli uomini e delle donne di domani. Si potrebbero organizzare incontri con gli adolescenti per promuovere una riflessione che li porti a riconoscere come violenti comportamenti diffusi: parolacce, spintoni, lancio oggetti, così come alcuni sentimenti quali la gelosia possano degenerare in sofferenza e innescare la follia omicida.

Riscrivere la grammatica tra i sessi, dove certe parole non esistono più: possesso, sottomissione, dominio, proprietà. Questo deve essere l’obiettivo comune di tutti.