È entrata in punta di piedi e si è subito prodigata in modo silenzioso e discreto sia tra gli studenti del Liceo scientifico “R. Nuzzi”, dove insegna religione, sia tra i giovani della Parrocchia con cui collabora: un amore a prima vista. La nostra inchiesta sulla presenza femminile nella Chiesa parte da lei, Suor Elisa Codeluppi.
“Donne, chiesa, mondo”, l’inserto mensile dell’Osservatore romano, ha denunciato il maschilismo imperante nella Chiesa che vede le suore come presenze quasi invisibili e sfruttate come domestiche a tempo pieno nelle abitazioni degli alti prelati, prive di un contratto o di convenzioni nel caso in cui lavorino presso scuole, ospedali o parrocchie. Condividi questa denuncia?
In generale trovo molto interessante tutto il lavoro che Lucetta Scaraffia, con il suo comitato di redazione, sta portando avanti dal 2012, con l’inserto mensile “Donna, chiesa, mondo”. L’attenzione che l’Osservatore Romano riserva alle donne è un segno di speranza per una sua valorizzazione all’interno della Chiesa, valorizzazione che passa anche da qui, dal dare voce alla donna e dal riconoscerle il diritto di parola. In particolare, mi ritrovo nell’analisi che viene delineata nell’articolo sullo “sfruttamento” delle suore in alcuni ambienti ecclesiastici, soprattutto là dove si legge: «La responsabilità di tale situazione non è solo maschile, ma spesso è condivisa», perché anche un certo modo di concepire l’obbedienza a un superiore e/o a un prete, all’interno di una famiglia religiosa, oggi chiede di rinnovarsi e uscire dal vicolo della sottomissione. Così pure condivido la riflessione sulle suore di vita attiva «vittime di una confusione riguardo ai concetti di servizio e di gratuità». Credo che anche questa categoria chiede di essere rivisitata alla luce dei segni dei tempi perché alle suore sia consentito di vivere in maniera decorosa e “giusta”.
Pensi che questa polemica possa essere il frutto di una strumentalizzazione politica?
Non saprei. Non ho sufficienti elementi per poterlo dire.
Cosa ti aspettavi quando hai scelto di seguire la tua vocazione e quale realtà ti sei invece trovata di fronte?
Quando una ragazza intraprende un cammino di speciale consacrazione nella Chiesa, all’interno di una famiglia religiosa, ha il desiderio di mettersi al servizio di un Signore che scopre così grande nell’amore da essere più forte di ogni dubbio e di ogni difficoltà. Ti importa questo. Poi, più entri nella concretezza della vita di ogni giorno, più approfondisci la conoscenza della tua famiglia religiosa e della Chiesa in generale, più ne scopri anche i lati bui e lì ti è chiesto un passo in più nella fede e di rispondere a delle domande essenziali: come ci sto io qui dentro? come il Signore mi chiede di abitare questa difficoltà? come io e la mia famiglia religiosa possiamo essere fermento di vita nuova in questa realtà, alle volte tinta di maschilismo e clericalismo, come rilevava l’inserto dell’Osservatore a marzo?
Qualche anno fa alcune religiose hanno sottoscritto il “Manifesto delle donne della Chiesa”. Lo conosci? Lo condividi? Sarebbe opportuno aggiungere qualche punto?
Lo conosco e accentuerei l’elemento della reciprocità uomo-donna. Infatti, il crocevia a cui oggi siamo arrivati, sulla scia della rilettura di Genesi 2, è il riconoscimento della reciprocità maschile e femminile anche nella vita ecclesiale, essenziale per ripensare la collaborazione tra uomini e donne nella stessa Chiesa. La significatività della donna consacrata non può essere pienamente compresa per se stessa, ma solo in relazione all’uomo, perché “insieme” dicono qualcosa della bellezza del disegno di Dio. Tenere viva in noi la memoria di questo ci porta a cambiare atteggiamento gli uni verso le altre e viceversa, mettendo da parte logiche concorrenziali e/o di sottomissione.
Papa Francesco ha manifestato preoccupazione per il persistere di una forte mentalità maschilista all’interno della Chiesa. Pensi che riuscirà a dare seguito a questa sua preoccupazione con qualche azione concreta?
In questi anni la donna consacrata ha acquisito una maggiore consapevolezza di sé all’interno della Chiesa, vedendosi riconosciuta, almeno a parole, una propria dignità ecclesiale; lo stesso Papa Francesco in Evangelii Gaudium (EG 103) ha sottolineato come la Chiesa abbia riconosciuto l’indispensabile contributo delle donne nella società, in particolare condividendo responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti e offrendo nuovi apporti alla riflessione teologica. Convinto che “il genio femminile” sia fondamentale in tutte le espressioni della vita sociale, ha dichiarato che è necessario allargare gli spazi nella Chiesa per una presenza femminile più incisiva senza escludere i diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti. Tutto questo è un segno positivo che qualcosa si sta muovendo, ma dall’altra parte dobbiamo constatare che di fatto i reali e concreti cambiamenti sembrano avvenire in modo rallentato, che i riconoscimenti sono spesso solo a parole, tanto più che la vita consacrata sta affrontando, in tutta la sua drammaticità, anche un’altra problematica legata all’invecchiamento, alle defezioni e al numero esiguo di giovani vocazioni. Eppure nell’ottica conciliare del Vaticano II, quella che sposa il modello di una Chiesa comunione, questa non è più solo una problematica della singola famiglia religiosa piuttosto che di un’altra, ma della Chiesa tutta. La vita consacrata femminile è invitata a ripensarsi, a ritrovare un’identità, a cercare nuove strade per essere quel lievito che fa crescere e quel sale che dà sapore alla Chiesa. Questo sul suo fronte, e dall’altro? C’è la stessa disponibilità a mettersi in discussione? Forse uno dei primi passi è proprio quello di prendere consapevolezza insieme che la vita consacrata è “affare” di tutta la Chiesa.
In che modo, a tuo avviso, si potrà scardinare dall’interno la convinzione che le religiose sono motore indispensabile e invisibile nella Chiesa?
Forse è necessario recuperare sempre di più l’insegnamento del Vaticano II, anche riguardo la questione femminile, riconoscendo alle donne la loro vocazione a partecipare come donne e come consacrate a ciò che hanno ricevuto nel Battesimo: la missione regale, sacerdotale e profetica di Gesù. Punto di forza può rivelarsi davvero la riscoperta della fede battesimale, che allontana il rischio dell’autoreferenzialità nel servizio, pecca di alcune persone all’interno della Chiesa. Ancora in Evangelii Gaudium (EG 104) il papa ha sottolineato per i preti il rischio di un «conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere»: la potestà sacramentale riguarda l’ambito della funzione e non con quello della dignità e della santità, caratteristiche che sono proprie di ogni battezzato e che quindi devono essere riconosciute a ciascuno, non solo ai ministri. Infatti «il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti. […] Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tenere ben presente che […] è sempre un servizio al popolo». Forse, questo permetterà di elaborare nella Chiesa una vera sinodalità in cui tutte le voci sono ascoltate.
Credi che una religiosa abbia la possibilità di crescere e riuscire ad occupare ruoli di prestigio nelle gerarchie ecclesiastiche?
I cambiamenti nella pratica della Chiesa sono deducibili dalle stesse basi della fede cristiana, quindi per incamminarsi verso il nuovo bisogna conoscere il punto di partenza: Dio ha creato l’uomo come maschio e femmina e Gesù ha redento entrambi. Una sfida sarà proprio quella di chiedersi quale forma tale relazione comunionale debba assumere per avvicinarsi il più possibile a quella che è la sua originaria vocazione. Ecco perché i programmi pastorali non possono più non prevedere questa collaborazione, auspicando ad esempio, l’intervento delle donne nei processi decisionali, la loro partecipazione, non solo formale, al governo delle istituzioni, il loro coinvolgimento nella formazione dei ministri ordinati. Imparare a lavorare insieme e a stimarsi reciprocamente è essenziale. La donna potrebbe avere più spazio nell’ambito della liturgia della Parola durante le celebrazioni, che a tutt’oggi vedono, ad esempio, il lettorato istituito come ministero solo maschile. Potrebbe dare il proprio contributo in termini di umanità nei rapporti tra le persone. Auspico che nella Chiesa ci siano sempre più persone pronte a scommettere su noi donne, consacrate a servizio del Signore e della Sua Chiesa, in quest’oggi che ci è dato di vivere, per portare a compimento in maniera dignitosa la missione che insieme ci è affidata.
Suor Elisa Codeluppi fa parte della Congregazione delle Suore Orsoline Figlie di Maria Immacolata, presente in Italia, in Svizzera e in alcuni paesi dell’Africa e dell’America latina. Nate da un parroco veronese dell’Ottocento, si ispirano all’intuizione pedagogica di Sant’Angela Merici, una donna consacrata nel ‘500. Sono dedite all’attività educativa nelle parrocchie, nelle scuole, nei collegi, in pensionati universitari e nelle opere assistenziali; la loro attenzione è soprattutto rivolta alle ragazze in condizioni svantaggiate.