Intervista al Presidente di Libera e fondatore del Gruppo Abele Verità e Giustizia

Intervista al Presidente di Libera e fondatore del Gruppo Abele Verità e Giustizia, intervenuto all’inaugurazione di “Occhio Vigile” – Osservatorio Permanente per la Verità e per la Giustizia, ad Andria.

Don Luigi Ciotti all’inaugurazione di “Occhio vigile.” Una notizia. Un modo per rimarcare che ciò che fonda una comunità civile e responsabile sono i Valori non negoziabili; la spinta è data dall’interesse, dalla passione, dalla partecipazione al veicolare verso un fine “il bene comune”.

Dare origine ad un progetto per la comunità civile è farne parte significa fare una “scelta”.

“Occhio Vigile” – Osservatorio permanente per la Verità e la Giustizia prima di un progetto è una scelta di coscienza, perché “…ha un debole per i deboli” un servizio che la Coop. MigrantesLiberi ha inaugurato il giorno 24 Maggio 2016 presso l’Auditorium Mons. Di Donna della Parrocchia SS. Sacramento in Andria.

Alla presentazione ha partecipato il Presidente dell’Associazione Libera, per una testimonianza di vita, costruita con sacrificio e dedizione, al contrasto delle ingiustizie sociali, che soffocano, costringono ungono e ghettizzano tante persone rendendole silenti e disagiate.

L’incontro con Don Luigi Ciotti ha contestualizzato nei contenuti e nella forma ciò che da tempo “Occhio Vigile” compie giorno dopo giorno, per rendere giustizia ai deboli e promuovere una vecchia e sempre verde cultura inclusiva a misura di uomini e donne.

Don Luigi, lei si è occupato di tante cose e persone poi nella sua vita entra la mafia. Cosa l’ha spinta tanti anni fa a scegliere questa strada?

La presa di coscienza, negli anni Ottanta, che il problema della droga comportava, oltre all’accoglienza e alla cura delle persone, lo studio, la denuncia e il contrasto delle mafie che gestivano e continuano a gestire il narcotraffico. Da lì l’impegno si è allargato e articolato in diversi ambiti, senza però mai perdere di vista l’attenzione alle persone. Esiste del resto un nesso, anche se non sempre evidente e diretto, tra emarginazione sociale da un lato e logiche criminali dall’altro. Se i requisiti di una vita dignitosa – la casa, il lavoro, la scuola, la salute – fossero diritti e non privilegi, le mafie sarebbero solo un fenomeno criminale e non, come sono diventate, un male con radici sociali, culturali e politiche.

Sempre più spesso vengono arrestati dei «paladini» dell’antimafia. Cosa significa?

Che qualcuno ha fatto dell’antimafia uno strumento di affermazione o arricchimento personale, anche con mezzi illeciti. Ciò detto, è essenziale distinguere tra le realtà serie – sono tante – quelle di facciata e quelle paravento d’interessi illegali o persino criminali. L’antimafia è un fatto di coscienza, non un biglietto da visita. Occorre smascherare l’ipocrisia delle parole e guardare ai fatti. Sono le cose, sempre, a fornire il metro di valutazione più attendibile, e a smentire chi sull’antimafia ha costruito false credenziali.

Don Luigi, lei ha lanciato l’allarme sui beni sequestrati che molto spesso restano, in realtà, nelle mani dei mafiosi. A che punto siamo?

Alcune modifiche sono state fatte; altre, all’esame in Senato, se deliberate, darebbero un grande impulso ai percorsi della legge, soprattutto in certi ambiti delicati come quello delle aziende confiscate. Quella della 109/96 è comunque una partita che non possiamo permetterci di perdere, perché confiscare un bene e destinarlo a uso sociale vuol dire colpire, insieme alla base materiale del potere mafioso, quella sociale e culturale. Serve allora un maggiore impegno e una maggiore consapevolezza, anche a fronte del positivo realizzato in questi vent’anni. Oggi sono più di 500 le realtà, laiche e cattoliche, che gestiscono un bene confiscato in Italia, garantendo servizi sociali, progetti educativi e di accoglienza, posti di lavoro. Cioè speranza e dignità per le persone.

La legalità è un principio etico. Oggi l’azione pubblica ne fa un feticcio o un principio ispiratore della propria azione?

Oggi la legalità rischia di diventare un idolo o, come antimafia, una parola “vetrina”, dietro alla quale c’è poco o nulla o cose non trasparenti. D’altro canto, credo sia improprio definire la legalità un principio etico, perché l’etica non scaturisce dai codicim ma dalle coscienze. L’etica coinvolge la nostra responsabilità, i nostri comportamenti, le nostre scelte – cioè l’integrità della nostra vita privata e pubblica. È irriducibile al semplice obbedire a normative che pure, a volte, servono interessi di potere invece del bisogno di verità e giustizia.

Don Luigi, l’illegalità anch’essa oggi è liquida. Chi la maschera?

Oggi si è creata una profonda commistione, in certi casi una saldatura, tra la finanza opaca e il sistema di accumulazione mafioso. Il sistema della finanza è un regime globale che gode di una quasi totale immunità, e che favorisce – o quantomeno non ostacola – gli affari mafiosi. Su questo punto siamo chiamati a confrontarci, a riflettere, a denunciare. Non si può più affrontare il tema delle mafie senza conoscere i meccanismi che generano disuguaglianza, i trattati economici scritti sulla pelle della povera gente, le espropriazioni delle terre, il degrado del lavoro a sfruttamento, a volte a schiavitù. Non si può oggi parlare di mafie senza denunciare il dilagare della corruzione e lo scandalo dell’immigrazione, l’innalzamento dei muri e delle barriere, il naufragio delle coscienze che sta alla base delle morti nei mari e nei deserti.

Don Luigi, lei ha ricevuto recentemente nuove minacce di morte. Ha paura?

Sono cose che non lasciano indifferenti, ma che vanno messe in conto quando fai determinate scelte. Per quanto riguarda il contenuto delle minacce, Totò Riina sbaglia a pensare a me come il solo problema. Quello che Libera ha fatto in questi vent’anni è nato da un “noi”, da un lavoro e da un impegno collettivi. Io ho solo cercato, nel mio piccolo, di stimolare, incoraggiare, costruire legami, di mettere in contatto mondi diversi, diverse identità culturali e spirituali. Una persona la puoi fermare, un movimento di persone no.

Eppure in questo Paese si parla del volontariato, straordinario e meritevole, come di un alibi per chi non fa niente…

Non sempre se ne parla così, soprattutto quando l’attività di volontariato – che è l’essenza della cittadinanza, non un “di più” – non si dimentica di svegliare le coscienze, denunciando le scelte politiche e economiche che generano povertà e disagio sociale. Il Gruppo Abele, cinquant’anni fa, è nato con un’aspirazione a cui ha cercato sempre di restare fedele: accogliere le persone, ma al tempo stesso fare della solidarietà uno strumento per costruire giustizia sociale.