«Le perle sono frutto del mistero e dellavventura: chi segue la carriera di una perla raccoglie tanto materiale da trarne cento favole»

(Karen Blixen)

Ci sono giorni concitati che iniziano così già la sera prima: hai una tabella di marcia perfettamente organizzata, a volte riesci anche a rispettarla, tutto incastrato e programmato, bene così.

Ci sono giorni confusi che non si possono preventivare nel dettaglio, sebbene abbiano già l’odore del “da fare cronico”: ti barcameni fra diverse onde d’urto, ti affidi anche alla sorte, più o meno a sera ci arrivi, la spunti, bene così.

Ci sono giorni normali che non hanno molto da dirti, ma esistono anche giorni non pretesi e non per questo meno attesi.

Sono i giorni rivelatori della relatività del tempo: passi dall’avere tutto quello del mondo, ad averne troppo poco. Sono i giorni in cui impari quanto lunga possa essere la necessità di metabolizzare un pensiero, prima di poterlo esprimere, o di dare forma ad un’emozione, prima di portarla a galla.

Immagina di trovarti seduto su una scogliera e provare insieme pace ed euforia, pienezza e vuoto, eccesso e mancanza. Prova a guardare il blu intensissimo del mare che si staglia infinito davanti ai tuoi occhi, mentre seduto hai i gomiti sulle ginocchia e non hai alcun potere su quello che senti.

Tutto quanto ti sta facendo scoppiare le viscere deve uscire, hai bisogno di piangere: senti le lacrime sfidare le leggi della gravità, salire su per lo stomaco, provare ad annodarti la gola ed arrivare prepotenti alla via d’uscita. Appena raggiungono gli occhi ti accorgi di non avere il tempo necessario: non ne hai per lasciare che accada, non ne hai per spiegarle. Troppo spesso le lacrime vengono vissute come necessario sinonimo di dolore. Ma tu non stai provando dolore: è quel tutto mischiato al suo opposto, quel punto blu. Giri la testa, chiudi un momento gli occhi, li preghi di non tradirti, non avete il tempo.

Ci riesci. Ammesso ci sia qualcuno lì accanto a te, non ha potuto toccare l’umido salato della bollente guerra civile scatenatasi fra budella e cuore, che stava per esploderti fuori dalle palpebre… aspetterai di avere tempo, quello scenario lo dovrai condividere un giorno, ma non quel giorno. Il tempo non basta, quando hai bisogno di tempo.

Così come potresti immaginare semplicemente di avere un altro bisogno: girare la testa verso qualcuno e fare una sola domanda a bruciapelo e,conditio sine qua non, occhi negli occhi: “sei felice?”.

No, nei giorni così non puoi. Perché tutto quanto accade in quegli istanti è irrinunciabile, a tratti primordiale, non può lasciare spazio a null’altro… e per quel pure importantissimo altro, dovrai trovare un altro tempo.

Bene, sono i giorni che non lasciano rimpianti, contro cui non puoi scagliarti per il loro essere stati troppo brevi: non è colpa loro, la responsabilità sta nella tua pancia e in quello che prova. Quella tua pancia che sa bene quanto inutile sia sbattere con prepotenza una clessidra: la sabbia continuerà a cadere sempre e solo come deve. Ha il suo tempo. Non ci si può mettere mano. Arriverà.

Quei giorni sono perle di una preziosissima collana che nasce a mano a mano che vivi; e sono perle naturali. Non lavorate, imperfette, dalle diverse sfumature di colore. Nulla è preciso, nulla ha una forma definita e quel genere di tutto compone i tesori più preziosi che ti si possano palesare. Sono scoperte, rivelazioni, creazioni, esplorazioni, avanscoperte, promesse.

Ecco, non esisterà nemmeno uno di quei giorni brevi designato dalla mancanza del suo domani: densi, pieni, gonfi, pregni, ricchi, feritili, gravidi. Impossibile anche che ti si rompano le scarpe mentre ci cammini: laddove accadesse, sarebbe solo un’impressione.

Hai le tue scarpe, per quel domani. E dunque, domani?

Domani, continuerò ad essere.

Ma dovrai essere molto attento

per vedermi. Sarò un fiore o una

foglia. Sarò in quelle forme e ti

manderò un saluto.

Se sarai abbastanza consapevole,

mi riconoscerai, e potrai sorridermi.

Ne sarò molto felice.

(Thích Nhất Hạnh)


FontePhotocredits: Myriam Acca Massarelli
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.