Storie di tradizioni che si ostinano a tramandarsi, di dolci fatti con le proprie mani: perché l’essenziale è invisibile agli occhi…

Dolci pugliesi. Vi racconto una storia…

Concetta è una madre di famiglia, come tante altre. A Barletta. In Puglia. Lei condivide e fa sua, quasi sistematicamente, una perla di saggezza del Piccolo principe, che la buonanima della sua nutrice le leggeva quando era piccolina: “Non si vede bene che con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”. Cerca perciò, di dare il meglio dei suoi pensieri, azioni e sentimenti al marito Antonio, ai suoi figli Ruggiero, Carmine, Angela, a tutti quelli in cui si imbatte e nei contesti in cui opera.

Sa, per esempio, che ai suoi congiunti più stretti piacciono i tipici dolci di Natale che lei ha sempre preparato da quando i suoi rampolli gattonavano per la casa. È consapevole che le sue semplici produzioni alimentari, sia quelle quotidiane e le altre realizzate nei giorni di festa sono genuine, nutrienti e salutari, possono fare solo bene alla serenità e salute. Quindi, piega il suo tempo, che riesce quasi sempre a trovare, alle esigenze fondamentali della sua famiglia, tralasciando, lungimirante, con un sorriso a 360°, tutto il resto. Apparenze, ipocrisie, futilità, che si ripercuoterebbero direttamente o indirettamente contro sé stessa, gli altri e l’ambiente.

Pure quest’anno la consolidata tradizione di Natale ha bussato allo slavato portoncino di legno dell’abitazione, dove da generazioni la famiglia dimora, anzi ha fatto capolino ancora più gagliarda del solito, per l’accresciuta consapevolezza e fierezza di coltivare e trasmettere il sapere e l’esperienza degli ascendenti, l’attaccamento ai prodotti della propria terra, valori di non poco conto, per chi non si lascia travolgere dalle mode, trasuda fierezza delle proprie umili origini e nutre rispetto per la propria identità, personale, sociale e territoriale.

In moltissime altre famiglie del territorio, da tempo si è tagliato il cordone ombelicale con il costume atavico dei dolci fatti in casa, perché… “se ne va tempo e si hanno mille cose da fare, ben più importanti”, “la cucina si sporca”, “bisogna seguire le mode”, “che direbbe la gente?”. Non si può rinunciare allo smartphone dalla mela sbocconcellata, all’estetista, alle consumazioni al bar, allo shopping. Che senso altrimenti avrebbe la vita? Urge anche emanciparsi definitivamente dalla sobrietà della cultura contadina, da disdegnare senza remore. Né si può mettere a repentaglio la laccature delle unghie delle mani venuta a costare una bella manciata di euro.

È semplice, comodo, sbrigativo ed anche chic rifornirsi delle prelibatezze dolciarie offerte dalla grande e piccola distribuzione. Così, i panettoni, i famosi dolci della tradizione pasticcera milanese ed i pandori di Verona, semplici, ricoperti di cioccolato, farciti con creme che riescono coraggiosamente a tenere a bada per mesi l’assalto di ogni tipo di microrganismi, smaglianti nelle loro raffinate confezioni, fanno bella mostra di sé sulle tavole imbandite di ogni ben di Dio, assieme ai resti di esseri viventi che un tempo belavano, muggivano, nitrivano, grugnivano, zigavano, chiocciavano. Mentre sotto il tavolo allegramente ciondolano, si strusciano e si rimpinzano da nababbi, amici che abbaiano e miagolano.

Scartando, subito dopo, i vassoi delle pasticcerie locali, che generano un corale “ohohoho!” appaiono, allineati come soldatini, diplomatici, babà, sfogliate, cannoli siciliani, frollini, cornetti, tutti traboccanti di panna montata, crema pasticcera, nutella, inzuppati di liquori. Una dopo l’altra vengono svuotate, le numerose bottiglie di coca cola ed aranciata. All’innalzamento dell’indice glicemico si penserà dopo le festività natalizie, frequentando una palestra attrezzata e sottoponendosi alla dieta in voga.

Per Concetta Straniero, invece, è inebriante creare atmosfere antiche, di quando lei e le tre sorelle si assiepavano intorno alla madre. Riprendere il tavoliere, sbrecciato, scheggiato ed inciso in ogni direzione da profondi solchi, rileggere le ingiallite ricette scritte a mano da una zia, una comare, una vicina di casa, custodite gelosamente, affondare le laboriose mani screpolate nei soffici impasti. Per un ciuffo di giorni.

Come per incanto, quando si mette al lavoro, vengono evocate le remote relazioni umane, riaffiora lo stuolo dei cugini che, creando un’atmosfera allegra e chiassosa, facevano irruzione nella modesta casa dei nonni. E si mangiava insieme strascinati, appena ricavati uno dopo l’altro da piccoli cilindretti di pasta, e rape, ancora stillanti rugiada. Un’antichissima pietanza, benedetta da una croce di olio extravergine appena estratto dalle olive coratine, pizzicante la gola. Il calzone farcito di cipolle, uvetta ed olive completava il pranzo, mentre il vino rosso di viti a spalliera creava dolce euforia.

Quando, finalmente, il fornaio, su un’asse traballante riportava le grandi teglie, si faceva calca e si sgomitava per affondare i denti, persino scottandosi, nelle pastarelle, nelle amarette, nei panzerotti, nei taralli, nei mostaccioli ancora fumanti. Che fragranza! Quanta squisitezza!

E la casa la sera si riempiva fino all’inverosimile di zie e zii, comare e compari, vicine e vicini di casa, e si cantava intorno al presepe, allestito da suo padre, la santa allegrezza, si sgranocchiavano i taralli scaldati, si mettevano a dura prova i denti rosicchiando fave arrostite. Le pastarelle che non avevano niente da invidiare a quelle delle monache di san Ruggiero venivano confezionate con i genuini ingredienti di allora. Si raccontavano storie della famiglia, aneddoti di vita e si leggevano libri per i più piccoli. Si facevano degli scherzi, e la tombola mettere in ansia nell’aspettativa dei numeri che mancavano alla propria cartella. Una partecipazione corale, un trambusto gravido di senso della vita. Lo smartphone e la frenesia di là da venire.

Anche quest’anno la fortunata casa di via Straniero, si arricchisce di tutto il ben di Dio che la tradizione dolciaria locale suggerisce. Concetta affronta l’impegno per la sua famiglia, ma non dimentica parenti ed amicizie. La reciprocità è un valore da coltivare, come faceva il piccolo principe con la sua rosa, che aveva un bel caratterino. Per lei e suo marito l’etica della gratuità è vitale, e tante bottiglie di vino, rigorosamente biologico, vengono elargite a tutti quelli che hanno la fortuna di conoscerli e frequentarli.

La sua specialità, di cui l’indaffarata pasticcera va fiera, sono le cartellate, croccanti, indorate, rivestite di una patina di delicata gelatina rosea, estratta dalla purea delle mele cotogne, deprivate di torsoli e vermetti scavanti contorte e dissestate gallerie nerastre. Sono superlative per gusto, rispetto a quelle inzuppate di vincotto eccessivamente dolce e corposamente vischioso, che vanno per la maggiore.

Nella realizzazione delle amarette e dei mostaccioli, vengono utilizzate le mandorle del poderetto che sua madre aveva avuto in dono al momento del matrimonio. A Tonino tocca l’incombenza di coltivare mandorli, ormai in estinzione, raccoglierne i frutti, riempiendosi di cimicette, schiacciarli e separare i semi dai gusci. Ne viene prodotta una prelibatezza dolciaria di marzapane che neanche a Giove sarà mai capitato di gustare sull’Olimpo, nel consesso con gli altri dei.

Non possono mancare i “calzoncelli”, minuscoli panzerotti che piacciono tanto al figlio Carmine, ripieni di mostarda ottenuta con uva di Troia. Antonio, suo padre, coltiva il vigneto con amore, si rifiuta di irrorare con pesticidi e fertilizza il terreno con ammendanti di origine animale. La farina dell’impasto poi, deve essere integrale, varietà senatore Cappelli, acquistata dal Fornaio dei Vecchi Mulini, dalle macine di pietra.

I taralli scaldati, da sgranocchiare anche dopo le festività natalizie, completano l’assortimento dei dolci. La preparazione richiede tempo, ma sono di gran lunga più gustosi, per la presenza del valore aggiunto dell’amore, di quelli, che pure non lasciano a desiderare, dei panifici artigianali. Ed anche la tasca se ne rallegra.

Così facendo, la famiglia Santeramo, guardata dall’alto in basso e considerata pedestre da chi ha toccato i vertici del finto progresso, senza pensarci, prendendo in mano il proprio destino umilmente ed in silenzio rompe con il modello consumistico dominante. Che, avvalendosi della martellante pubblicità, spinge ad acquistare qualsiasi cosa, facendo assopire le potenzialità insite in tutti gli esseri umani, anestetizzando i talenti e togliendo dignità alla vita. E il pianeta ringrazia con un sorriso che intaglia tutta la sua rotondità.


FonteWikimedia Commons
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Percorso scolastico. Scuola media. Liceo classico. Laurea in storia e filosofia. I primi anni furono difficili perché la mia lingua madre era il dialetto. Poi, pian piano imparai ad avere dimestichezza con l’italiano. Che ho insegnato per quarant’anni. Con passione. Facendo comprendere ai mieli alunni l’importanza del conoscere bene la propria lingua. “Per capire e difendersi”, come diceva don Milani. Attività sociali. Frequenza sociale attiva nella parrocchia. Servizio civile in una bibliotechina di quartiere, in un ospedale psichiatrico, in Germania ed in Africa, nel Burundi, per costruire una scuola. Professione. Ora in pensione, per anni docente di lettere in una scuola media. Tra le mille iniziative mi vengono in mente: Le attività teatrali. L’insegnamento della dizione. La realizzazione di giardini nell’ambito della scuola. Murales tendine dipinte e piante ornamentali in classe. L’applicazione di targhette esplicative a tutti gli alberi dei giardini pubblici della stazione di Barletta. Escursioni nel territorio, un giorno alla settimana. Produzione di compostaggio, con rifiuti organici portati dagli alunni. Uso massivo delle mappe concettuali. Valutazione dei docenti della classe da parte di alunni e genitori. Denuncia alla procura della repubblica per due presidi, inclini ad una gestione privatistica della scuola. Passioni: fotografia, pesca subacquea, nuotate chilometriche, trekking, zappettare, cogliere fichi e distribuirli agli amici, tinteggiare, armeggiare con la cazzuola, giocherellare con i cavi elettrici, coltivare le amicizie, dilettarmi con la penna, partecipare alle iniziative del Movimento 5 stelle. Coniugato. Mia moglie, Angela, mi attribuisce mille difetti. Forse ha ragione. Aspiro ad una vita sinceramente più etica.