Perchè occuparsi della religione?

La religione è per molte società l’ordito che le tiene insieme, ne indica le finalità e ne detta i comportamenti consentiti e quelli vietati. Per la società italiana il cattolicesimo costituisce la rete su cui si è costruita la cultura morale e giuridica, e che oggi ancora ci governa e orienta. Ecco perchè prendere coscienza delle caratteristiche peculiari del cattolicesimo è importante per un cittadino della società italiana, che sia o no cattolico.

Vorrei, con questo articolo, avviare una riflessione, in più puntate, sulla struttura di pensiero su cui si regge la religione in generale, e il cattolicesimo in particolare. Saranno osservazioni brevi, anche slegate tra loro, una specie di lavoro in corso: quindi si accettano osservazioni e correzioni, anzi si richiedono osservazioni e correzioni.

Cominciamo.

Una prima osservazione: ci sono molteplici religioni, in regioni differenti della Terra, seguite dai gruppi umani che le abitano. Ogni religione ambisce a spiegare il senso di tutto ciò che esiste. L’uomo, quindi, in quanto specie biologica, dispone di una notevole quantità di “spiegazioni ultime”. Queste “spiegazioni ultime” (spesso “rivelate”), proprio perchè spiegano il senso di tutto l’esistente, sono immodificabili, incorreggibili, inappellabili e non disponibili a considerarsi parziali o incomplete o “relative” al tempo e ai luoghi in cui sono state formulate. Se hai una “spiegazione di tutto”, non puoi averne due, perchè non ci sono due “tutti”, non c’è un “tutto” per l’Italia e un “tutto” per l’Africa, nè un “tutto” per l’anno Mille e un “tutto” per l’anno Tremila.
L’ “intolleranza”, quindi, cioè la impossibilità strutturale a modificarsi, a “progredire”, a confrontarsi e dialogare con altre spiegazioni del tutto, avendo la disponibilità a -eventualmente- cambiare opinione, mi sembra (sottolineo ‘mi sembra’ perchè mi piacerebbe riuscire a capire se mi sbaglio)  quindi una caratteristica intrinseca di ogni religione (specie delle religioni monoteiste: cristianesimo, ebraismo, musulmanesimo).

Per chi nasce in un certo luogo (ad esempio in Italia), dove prevale una certa religione, fin da bambini si è immersi in un “mare religioso”, fatto di racconti, personaggi, simboli che vengono assorbiti in modo capillare, minuzioso, ramificato e diventano quasi una “seconda natura”: cioè, alla fin fine, non scegliamo noi a quale religione credere, ma è il caso che ci fa essere cristiani o protestanti, musulmani o induisti, ecc. A questo punto pongo una domanda: ora che il mondo è diventato più “piccolo”, gli spostamenti e i contatti fra le varie culture sono molto più frequenti e intensi, ha ancora senso una “appartenenza” religiosa?, ha ancora senso l’esistenza stessa di tante religioni?

Torniamo alla questione tolleranza-intolleranza. La religione, ogni religione, spesso comporta l’indisponibilità alla “leggerezza”, ad accettare con benevolenza chi le si accosta con un atteggiamento ironico e irriverente.

Lo sforzo proprio di ogni religione per costruire un mondo che abbia un significato  è così serio e impegnativo che ogni atteggiamento che ne sminuisca l’importanza diventa sgradevole agli occhi dell’uomo religioso.  Andando più a fondo, penso che anche se l’ironia e l’irriverenza non venissero rese esplicite e manifestate, ma solo “pensate”, sarebbero comunque intrinsecamente offensive per l’uomo religioso. Se quel pensiero gli fosse manifestato, anche con educazione e delicatezza, molto probabilmente non sarebbe accolto con favore.  Cioè la non tolleranza di modi “altri” di atteggiarsi verso il senso della vita è congeniale ad ogni religione. L’intolleranza fa parte del sentimento religioso (questa può essere – a scelta – una domanda o una affermazione). Si dice: “Scherza coi fanti e lascia stare i santi”.

Ad esempio, quando ci fu l’eccidio di Parigi (“Charlie Hebdo“) papa Bergoglio paragonò l’offesa del sentimento religioso all’offesa della propria madre: questo paragone stabilisce un legame simbolico del sentimento religioso con la “visceralità” della propria origine “carnale”,  e sociale,  e culturale che poco si addice alla tolleranza (tanto è vero che Bergoglio ha citato il pugno, come possibile e “logica” reazione).Il sentimento religioso è cioè riportato ad una dimensione “originaria”, fondante la nostra  identità e chi lo offende o lo sminuisce, offende e sminuisce la nostra stessa identità !??(un punto esclamativo e due punti interrogativi, perchè davvero questo aspetto della religione mi sembra “logico”, ma -allo stesso tempo- difficile da accettare, come se ci fosse una complessità più profonda che non riesco a cogliere).

Ma se è così, capisco perchè è difficile sopportare anche solo un atteggiamento scherzoso e irriverente verso la religione, figuriamoci se l’irriverenza diventa offesa: ecco perchè Bergoglio ha citato il pugno come reazione logica all’offesa.

La riflessione continua. Alla prossima settimana!


2 COMMENTI

  1. Riporto una osservazione pervenutami, privatamente,da un lettore.

    “Si tratta di definire il ‘cosa si osserva’ quando si dice religione. Le dottrine? Le istituzioni? Le gerarchie? I comportamenti diffusi? Il modo comune di pensare in quel gruppo sociale?
    Indipendentemente dalle ‘rigidità’ dogmatiche’ appartiene al genere ‘religione’ una parola sul destino ultimo dell’uomo. Ed è fuori di dubbio (e condivido con te questo punto) che nel corso della storia le religioni abbiano generato rigidità dogmatiche sino ad agire violenza. Io distinguerei l’analisi storica dalla riflessione filosofico/teologica. Vi è una evoluzione nella coscienza religiosa. Sul piano teologico e filosofico (almeno cristiano) le cose non stanno più così… Anche da un punto di vista semplicemente sociologico, ad esempio, nella religione cattolica ci sono pressappoco quasi 2 miliardi di persone, ma non so quanto le autorità abbiano potere su di loro. In Italia, se si misura il cristianesimo dai battesimi… i cristiani sono il 90%. Se si considera chi va a messa… siamo al 19%. Se si osserva chi è convinto della morale sessuale della dottrina ufficiale la percentuale scende a meno di 2%. Dunque di che parliamo? La realtà non è fatta di rappresentanze, ma di persone che vivono… io guardo le persone… né mai mi immagino di sentirmi rappresentato in quel che penso da una autorità.”

    • Cosa intendo per religione? Beh, la mia riflessione è innanzitutto autobiografica. Intendo la parrocchia, l’oratorio, il catechismo, l’ora di religione a scuola, l’associazionismo cattolico delle scuole medie e dell’università, le organizzazioni politiche e sindacali paracattoliche, le pressioni sociali e familiari riguardanti l’osservanza delle pratiche religiose dei momenti di passaggio delle varie età della vita (battesimo, comunione, cresima, matrimonio e -quando sarà- funerale), l’osservanza di precetti particolari come la messa della domenica, ecc. Da queste esperienze cerco di “estrarre il succo”, cerco di capire se mi hanno fatto bene o male. E cerco di capire se sono ancora attuali, forti e presenti nella società o no. E’ una riflessione in corso, un po’ alla volta cercherò di spremere tutto ciò che in modo irriflesso ho covato e maturato in tutti gli anni che ho vissuto finora.

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