Tempo fa ho iniziato una riflessione sulla Religione  (Discorso sulla religione), cercando soprattutto di chiarire a me stesso se la Religione sia intrinsecamente intollerante e violenta. Mi sembra, dopo un mese in cui spesso ho continuato a riflettere sull’argomento, di avere idee meno nette e chiare. Continuo a pensare che la Religione  (intendo soprattutto la Religione con la quale sono cresciuto, cioè la Religione Cattolica) corra serissimi rischi di alimentare la violenza e l’intolleranza , ma penso che l’argomento sia molto più complicato di come l’avevo affrontato nel primo articolo.

Il sentimento religioso sa essere anche pietoso e amorevole, oltre che violento e intollerante: dipende molto dagli “interpreti”, dagli “attori”, più che dal “testo”. Inoltre, mi sto chiedendo se valga la pena affrontare questo argomento. Può essere utile per me o per i lettori di Odysseo cercare di chiarirsi le idee su tale questione? L’attenzione generale in questo periodo è molto distante da temi simili e ho l’impressione di perdere tempo io e far perdere tempo agli altri.

Oggi siamo in crisi (economica e di qualità della convivenza civile): affrontare problemi specifici più concreti è certamente più utile; ma poi ci ripenso e mi accorgo che è da una vita che cado in questa trappola. Sempre, ma proprio sempre, mi è capitato di sentirmi dire che è meglio lasciar stare certi argomenti “teorici” e che la vita è già abbastanza complicata per andare a complicarsela di più. Ma – e di questo sono convinto da ormai molto tempo – non è così. È vero, la vita è difficile, complicata, ma proprio per questo occorre “alzare la testa” per non restare schiacciati dalle mille e mille incombenze quotidiane e cercare di “guardare dall’alto”, cogliere il “panorama”,  per capire cosa abbiamo fatto finora, perché lo abbiamo fatto e cosa ci conviene fare per il futuro. Non c’è alternativa (se vogliamo prendere in mano le redini della nostra vita) allo sforzo di “progettare” (che è una cosa difficile e dura), se vogliamo – saltuariamente e momentaneamente – sentirci “vivi”. Ecco, la Religione è una di quelle cose che ci allenano a “progettare la nostra vita”, e quindi è quanto di più concreto, difficile, ma anche praticamente utile ci possa essere.

Resto sempre meravigliato e sconcertato dallo spettacolo della devozione popolare. Statue di santi, Madonne, Cristo in croce o cadavere dentro una teca di vetro, martiri trafitti da spade e frecce,  sangue esibito, luccichio di ori e argenti, doni devozionali fatti di gioielli, collane, tessuti ricamati; e poi canti antichi che mi risuonano dentro con tutte le immagini dell’infanzia e processioni, candele accese, folle di fedeli chiassosi e poco devoti mescolati ad altri invece compunti e assorti, autorità civili, militari e religiose che sfilano in gran pompa, molto consapevoli dell’importanza sociale e pubblica del loro ruolo, e poi magari il vescovo tutto addobbato come una soubrette sotto un baldacchino barocco. E mi scoraggio: penso che questi “spettacoli” siano la dimostrazione di quanto  siamo inconsapevoli e incapaci di liberarci da soggezioni e paure ancestrali, e mi sento solo e inutile. Quando assisto a questi eventi insorge in me un rifiuto viscerale per questa società che non posso fare a meno di giudicare rozza e violenta e fuggo via dalle strade affollate per trovare un po’ di autenticità interiore in viuzze deserte e silenziose.

Lo so, lo so: tutto ciò è molto retorico, infantile anzi,  e banale da parte mia, ma non ho mai trovato dentro di me il modo per convivere pacificamente con queste feste popolar-religiose. E –forse sbaglio io (oppure è banale e scontata anche questa osservazione) – ci sia un profondo legame tra i problemi di convivenza della vita sociale e la “cultura” pseudo-religiosa che si esprime in certi momenti della vita di tutte le città, cittadine e paesi d’Italia.

Anche per questo motivo sono convinto che quando riflettiamo o parliamo di Religione, in realtà affrontiamo anche problemi più concreti che riguardano noi stessi e la nostra vita civile. Non so se c’entrano qualcosa con l’argomento di questo articolo, ma mi vengono in mente queste belle parole di una canzone di De Andrè (“Hotel Supramonte”), una canzone che amo e che mi fa pensare a quanto bisogno abbiamo di scrutare i nostri cuori: “Passerà anche questa stazione senza far male, passerà questa pioggia sottile come passa il dolore, … ora il tempo è un signore distratto, è un bambino che dorme, ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano: cosa importa se sono caduto, se sono lontano…perché domani sarà un giorno lungo e senza parole, perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole…”

Per questa volta ho detto già abbastanza. La riflessione continua. Alla prossima.