Ma cosa accade quando la legge non prevede un caso su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi?

L’art. 101 della Costituzione Italiana enuncia: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Ma cosa accade quando la legge non prevede un caso su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi?

In tanti, per il vero, ricorrono a questa formula per evidenziare le distinzioni tra un sistema giuridico a fonte giurisprudenziale (l’esempio lampante è il Common Law inglese) in cui i giudici “creano” il Diritto, e uno a fonte legislativa secondo il quale: “La Legge è unica fonte del Diritto”, come tanto si ama ripetere in Italia, ad esempio.

Cosa accade, però, qualora debbano sorgersi questioni che non trovano alcuna soluzione in specifiche norme giuridiche? Ovvero, che ci sia una lacuna dell’ordinamento? Il giudice potrà, forse, sottrarsi all’arduo compito del decidere? Impossibile, dovrà necessariamente e sempre risolvere la controversia che gli è sottoposta.

Nell’ipotesi in cui il giudice non abbia a disposizione una norma generale e astratta che riguardi il caso da decidere, allora, qualcuno semplicisticamente propenderà per una soluzione di tipo equitativo: secondo quello che a lui personalmente sembra giusto, insomma. Possibilità concreta che, tuttavia, nell’ordinamento italiano è concessa solo in via eccezionale e in singoli casi previsti dalla Legge stessa.

Giunge in soccorso di un problema solo apparentemente indistricabile, la cosiddetta analogia. Laddove, infatti, il caso non è palesemente disciplinato dalla Legge, si fa uso ricorrere a norme che si interessano di casi strutturalmente simili. Come si procede?

Si ricerca nella disposizione che riguarda il caso simile lo stesso criterio da applicarsi in via interpretativa al caso da risolvere, che non è espressamente previsto dalla Legge. Ebbene, in questi casi si agisce secondo l’analogia legis. Attenzione, però: l’analogia non corre tra norma e norma, come potrebbe indurre a pensare l’espressione latina, e nemmeno tra una norma e un caso. Il confronto è stabilito tra due casi e in virtù della loro somiglianza strutturale. L’appello all’estensione analogica non è però ammesso qualora si discuta di norme penali e di altre che “fanno eccezione a regole generali”.

Tutto risolto? Non ancora. Vi sarete forse chiesti che disciplina sia da applicare ai casi non solo non previsti dalla legge, ma nemmeno da norme di casi simili tanto da risultare fallimentare anche la soluzione sopra prevista.

Ebbene, neanche in questa ipotesi il giudice può sottrarsi alla sentenza o ricorrere a interpretazioni meramente personali. Esiste un nuovo accomodamento per risolvere la controversia? Sì: la ricerca questa volta indaga tra i criteri orientatori delle norme, detti anche principi generali dell’ordinamento giuridico. Essi sono ricavati, appunto, dalle norme giuridiche. Per l’ipotesi in questione si usa parlare di analogia iuris, meglio resa in italiano con la perifrasi “analogia con il Diritto in generale”.

Insomma: laddove la Legge è latente la Giurisprudenza colma le sue lacune lasciando, per un attimo, il suo ruolo subordinato con il ricorso all’estensione analogica.