Come può il calcio italiano, sottoposto alle mire insane ed agli appetiti di Presidenti e personaggi senza scrupoli, poter aspirare ad invertire l’attuale tendenza e riprendere uno stato di normale organizzazione sportiva ? Nessuno pensa ad un ingenuo ritorno allo spirito decoubertiano del nostro calcio, ma nella visione di tutti coloro che amano sinceramente questo sport, si continua a sognare una dimensione più vicina allo sport che al denaro, e meno legata alle beghe di potere.

Nelle cronache del recente caso Lotito e dalle sue sparate telefoniche, si legge : “Ho detto ad Abodi: Andrea, dobbiamo cambiare. Se me porti su il Carpi… una può salì… se mi porti squadre che non valgono un c… noi fra due o tre anni non ci abbiamo più una lira. Perché io quando a vado a vendere i diritti televisivi – che abbiamo portato a 1,2 miliardi grazie alla mia bravura, sono riuscito a mettere d’accordo Sky e Mediaset, in dieci anni mai nessuno – fra tre anni se ci abbiamo Latina, Frosinone.. chi c… li compra i diritti? Non sanno manco che esiste, Frosinone. Il Carpi… E questi non se lo pongono il problema!” (da Repubblica.it).

Si vuole anche eliminare l’ultimo baluardo della meritocrazia? E anche se queste affermazioni fossero una sbruffonata o una millanteria, ci sarebbe poco da rallegrarsi per il futuro, vista la fonte autorevole da cui sono venute fuori. A questo punto c’è da chiedersi: a che vale la passione della gente per un gioco che si svolge secondo interessi molto al di sopra delle regole ? Che senso ha la domenica pranzare in fretta, infagottarsi contro il freddo, coinvolgere i propri figli, sacrificare i propri bisogni per pagarsi il biglietto e fare lunghe code per vedere la propria squadra giocare, se nel retrobottega del calcio si muovono questi uomini e questi interessi ?

Forse dobbiamo rassegnarci a vedere lo sport del calcio ( ed anche tutti gli sport nei quali il business spadroneggia) come una semplice grande illusione; nient’altro che un film nel quale siamo semplici spettatori, sapendo che il finale lo decide il regista e a noi non resta che guardare uno spettacolo verosimile che, però, non è e non sarà mai realtà.

Di questa notizia, quello che fa più sconcertare è il commento di alcuni colleghi del Presidente, i quali, pur censurando diplomaticamente il contenuto della telefonata, si rammaricano delle modalità con cui si è giunti a conoscenza del Lotito-pensiero.

Il metodo. Quasi che se la Polizia dovesse acciuffare un malfattore, ci si dovrebbe preoccupare della trappola poco leale organizzata. Perché, secondo la morale di questi signori del calcio, occorre essere leali con personaggi che, però, con il resto del mondo non lo sono affatto. Dimenticano che la sostanza in questi casi è così grave che la forma è una dettaglio trascurabile, anzi da plauso, se porta alla luce situazioni così pesanti.

Certo che nel calcio, dove violenza e partite truccate sono diventate argomenti di attualità, ci mancavano da un po’ di tempo (tempi di Moggi e &) queste rivelazioni sui poteri più o meno occulti. Per nostra fortuna sopravvivono ancora oasi di correttezza, se pensiamo a Presidenti che ci mettono e rimettono del proprio nelle Società, senza secondi fini, o se guardiamo alla capacità di piccole Società ancora in grado di fare del campo il vero banco di prova dei risultati; nonostante le continue sparate sugli arbitri, i tentativi di riforme ad uso e consumo del business dei grandi club, gli indebitamenti macroscopici e la finanza creativa per nasconderli. Sono i “panda” dello sport in via di estinzione.

Allora la domanda è: che fare per fermare questa tendenza all’autodistruzione del calcio ? Ma ancora più drammatica è la domanda: qualcuno fra quelli che contano e siedono nei posti chiave della Federazione, si sta ponendo questi interrogativi ? Sta forse pensando a frenare questa corsa irrazionale verso il deterioramento dello sport ? Forse sarebbero atteggiamenti donchisciotteschi quelli di tentare di porre un freno ad un sistema che ormai ruota intorno a miliardi e nel quale prosperano grandi interessi e migliaia di individui. Forse. Eppure, non sarebbe così folle, nello stesso interesse di una industria (così come è definito oggi il mondo del calcio), tentare di ricondurre il tutto ad una gestione sana e corretta.

Allora si punti sul buon senso ed su un po’ di coraggio.

Riportiamo le Società ad una draconiana gestione del bilancio societario, senza scappatoie o invenzioni di illusori introiti di diritti. Chi gestisce in maniera sana, partecipi alla giostra dei campionati, gli altri si ridimensionino o ripartano da zero, com’è giusto in tutte le attività economiche.

Smettiamola con questo mercato aperto quasi tutto l’anno, che condiziona e che pare sia l’unico argomento delle trasmissioni sportive, dove schiere di giornalisti esperti in indiscrezioni gareggiano nell’anticipare bufale milionarie. Il campionato deve vivere di agonismo, di tecnica e di passione, non di continue chimere di compravendita.

Riscopriamo, con forti incentivi, i calciatori a “chilometro zero”, quelli dei vivai, delle piccole società di provincia, che ora hanno solo zero possibilità, chiusi come sono dai continui salvifici arrivi esteri, il più delle volte rivelatisi dei veri bluff.

Infine, mettiamo a carico alle Società (e non della gente che non c’entra nulla con questo calcio) i notevoli danni e costi delle violenze dentro e fuori degli Stadi, almeno fino a quando i Presidenti non si decideranno a prendere seriamente le distanze da quelle frange di tifosi che utilizzano gli stadi per esercitarsi alla guerriglia. Lo Stato, negli ultimi anni, ha incrementato del 14% l’impiego di Forze di Polizia (già normalmente ingente) per un costo di circa 25 milioni di euro a carico della collettività.
Non è il caso di dire basta a questo circo impazzito?