
La Women’s March, la disuguaglianza e la democrazia di poche
Democrazia? “Destra e sinistra non esistono più. E neanche l’alto e il basso se la passano bene”. Già mi pento di aver citato Lo Stato Sociale ma, mio malgrado, hanno saputo cogliere una delle più endemiche criticità della cultura occidentale, quella del “primo mondo” che non si riconosce più nelle culture politiche e si rinchiude in un elitarismo senza speranza.
Sabato 21 gennaio, a poco meno di 24 ore dal giuramento del 45° Presidente degli Stati Uniti, una titanica manifestazione, la Women’s March, ha preso luogo in alcune delle principali città americane, con echi in Europa. Un’esplosione elaborata già dalle prime ore successive all’elezione di Trump, che ha visto marciare fianco a fianco donne e uomini di qualsiasi (o quasi) estrazione sociale, colore della pelle, origine, religione. In qualche forma, ha richiamato alla memoria quel movimento nato nel 2011 in Italia, Se non ora quando, in cui l’intenzione di fondo era la più completa dissociazione dall’allora Presidente Berlusconi, l’intenzione pratica era un ripensamento della figura della donna, dell’uso del corpo, delle tematiche legate alla maternità, all’aborto, alla gestazione per altri. Un tipo di manifestazioni da salutare senza dubbio con favore. Ma c’è un dubbio persistente che si fa avanti: simili manifestazioni possono essere definite come “popolari”?
Negli ultimi anni si è fatto strada uno scollamento tra la popolazione e la sua rappresentanza politica, che ha visto uno dei suoi primi sintomi nell’andamento crescente dell’astensionismo (dal 2001 al 2013 si è passati da una partecipazione dell’80,4% ad una del 75,2%, con il picco al ribasso dell’ultimo referendum costituzionale, fermo al 65%)[1]. La convergenza della proposta politica, la scomparsa della distinguibilità tra destra e sinistra ha messo in crisi una parte dell’elettorato. Ma vi è anche un’altra crisi, forse ancora più drammatica: quella che costituisce la nascita di un “alto” e di un “basso”, intesa come rottura tra rappresentanti e rappresentati, ma anche come capacità di auto rappresentanza del “basso”. In altre parole, si sta facendo strada una pericolosa scissione tra un’élite colta, con un alto livello di educazione, e uno strato popolare, scarsamente scolarizzato e distante dall’agenda politica. Lo sconvolgente risultato della Brexit, l’elezione di Trump, il risultato clamoroso del Referendum costituzionale, hanno fatto sì che una parte dell’élite invocasse la sottrazione del voto a questo strato popolare, artefice del disastro, oppure affrontasse con un certo risentimento le conseguenze del voto. La Women’s March, splendida manifestazione nata sui Social Network a poche ore dall’elezione di Trump, si inserisce in un contesto di tale complessità: tralasciando i rumors sulle infiltrazioni russe, si può affermare che questa manifestazione sia vera democrazia, mentre il voto a Trump no?
Al contrario, ritengo si tratti della più evidente prova di una democrazia spaccata a metà: se si considera il coefficiente di Gini, una variabile utilizzata per misurare la diseguaglianza della distribuzione di ricchezza che varia tra 0 e 1, si può osservare come, su 36 Paesi considerati, l’Italia si trovi al sedicesimo posto e gli Stati Uniti al terzo quanto a disuguaglianza. E se si considera la distribuzione della ricchezza parametrata con l’età (in una fascia che va da 0 a 17 anni) l’Italia sale al nono posto[2]. Questo porta a pensare che si stia consolidando, nella cultura occidentale, una democrazia spaccata. E in cui l’élite, che spesso detiene i mezzi di informazione, non comprende più le ragioni dello “strato popolare” ma, anzi, si limita a condannarlo. Come è successo durante la campagna elettorale con Hillary Clinton.
Si può, quindi, affermare che la Women’s March sia una manifestazione popolare? No, non lo è. Per lo meno, non nei termini classici. Così come non lo era Se non ora quando, una manifestazione che parlava ad un gruppo specifico di donne, che non fruiva della rappresentazione degradante del corpo della donna data dalle televisioni di Berlusconi, ma la condannava. Cosa sacrosanta, ma non sufficiente, perché totalmente autoreferenziale. Per questo, nelle scorse settimane, una parte dell’élite ha scoperto con sorpresa che una ragazza bruciata viva dal fidanzato è in grado di difenderlo: perché non si è più in grado di essere trasversali. Se non si utilizzano i propri termini, le proprie trasmissioni, i propri strumenti di partecipazione per parlare, allora si sbaglia, è necessario condannare, dissociarsi, dire “questo è pastone per i maiali”.
È bello che ci sia stata una manifestazione negli Stati Uniti, abituati a sonnecchiare sulla politica, per rivendicare la difesa dei diritti umani, dei progressi fatti con Obama in quanto a politiche di genere e Gender equality. Ma è triste osservare come, anche se l’alto e il basso non comunicano più, anche il basso abbia smesso di essere trasversale, di tutti.
Questa è la democrazia, come dice Roberta Aiello raccontando della Women’s March? “Questo non creto”, risponderebbe qualcuno. O almeno, non è sufficiente così.
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[1] Dati Ministero dell’Interno
[2] Tutti i dati sono riferiti al 2014, secondo quanto raccolto dall’Ocse