
Ius soli? Rappresentanza, impopolarità, pluralismo?
La questione della regolarizzazione degli immigrati lavoratori nel settore dell’agricoltura, negli anni immediatamente precedenti al 2021, ha visto contrapporsi sullo scenario politico italiano le solite posizioni, ciascuna delle quali rappresenta lo specchio di un’ipotetica tattica elettorale ed al contempo la sintesi di una poco certa idea di popolo, ed anche di nazione, di territorio, di priorità d’agenda politica.
Ad una simile dinamica di contrapposizione socio-politica si assiste, tra l’altro, quando si tratta l’argomento dello ius soli, senza considerare che potrebbe partirsi dal riconoscimento di un meccanismo giuridico di ius soli temperato. Con uno ius soli temperato l’acquisizione della cittadinanza dipenderebbe da tutta una serie di precisi presupposti oltre alla nascita sul territorio nazionale: si pensi allo svolgimento della vita sociale, consumeristica, scolastica, educativa, linguistica, culturale sul territorio italiano.
Ci sono alcuni casi di ragazze e ragazzi brillanti a scuola e volenterosi di intraprendere carriere istituzionali il cui accesso è riservato ai soli cittadini italiani; sono ragazze e ragazzi figli di immigrati, italianissimi nella cultura e nel loro stile di vita ambientale, sono ragazze e ragazzi però privi della cittadinanza italiana, privi della possibilità di coronare alcuni loro sogni. Sono ragazzi che vogliono studiare i sistemi eurounionali ed italiani per eventualmente lavorarci, meritocraticamente, onorando la terra dove vivono: queste stesse persone però non possono realizzare tutti i propri sudati sogni perché non hanno la cittadinanza del Paese-Stato che onorano quotidianamente, vivendoci. Queste situazioni rendono l’idea di quanto ancora ci sia da fare per rendere più razionale nonché a misura d’essere umano l’ordinamento, e non a misura di preclusioni aprioristiche. Il sottoscritto sa di queste situazioni perché per lavoro si è occupato anche di casi di ragazze e ragazzi italiani di fatto, ma senza cittadinanza italiana.
La politica – per buona parte – è chiusa nella campana di vetro delle post-ideologie su queste questioni? Non sono questioni da mettere in cima alle agende politiche ora con le problematiche scottanti sul piano socio-economico, soprattutto in periodi di pandemia e post-pandemia? Con queste questioni però occorre fare sempre i conti, in termini economici di costi-benefici, in termini culturali e di diritti plurali delle umanità in operativo movimento. Il non mettere in cima la questione dello ius soli (anche temperato), in questo momento particolare, non può far diventare la pandemia una scusa per continuare a non prendere in considerazione i sogni basilari di tanti ragazzini italiani di fatto, privi di cittadinanza. Non sempre la politica avrà un motivo per continuare a voltarsi dall’altra parte, come ha sempre fatto nei lunghi anni precedenti al Covid-19.
Le battaglie politiche, spesso, tracciano il proprio recinto per una o più classi di utenza sociale prediletta; spetta all’onestà civica e allo spessore intellettuale del contenuto delle singole vertenze dimostrare la non faziosità e la generalizzabile bontà dei propri intenti, nella compagine complessiva dello Stato di diritto.
Così tradizionalmente i liberali e socialisti umanitari, da un canto, allargano l’utenza giuridica ad un bacino di umanità più ampio, facendo leva sul rispetto dei diritti umani universali e sulle innovazioni strategiche del Paese, professando l’inclusione di altre culture etnoantropologiche senza discriminazioni tra esperienze ad alto PIL ed esperienze di popoli del terzo, quarto e quinto mondo. D’altro canto i neonazionalisti, conservatori dell’idea di ferma immanenza geo-giuridica, fanno leva sulle contingenze negative delle crisi economico-lavorative, ed ora pure della crisi su più fronti dovuta alla pandemia da Covid-19, per difendere un’idea di identità non multiculturalizzata che perpetua una astratta e destoricizzata italianità in vecchio stile.
L’immigrazione però è un fatto, un fenomeno complesso che esiste e che va affrontato in modalità pragmatiche, in modalità che vedano i terreni culturali ispiratori come dei moventi assiologici, e non come delle stanche torri ideologiche entro cui confinare uno scontro fra tifoserie nemiche. Essa realisticamente resta un fatto, e in quanto tale non trova risposte adeguate davanti alle mere congetture o ai discorsi del basso politichese.
La politica deve garantire i diritti esistenziali di umanità alle minoranze in un’ottica di pluralità ed equità, secondo lo spirito incessantemente in cammino della nostra Carta costituzionale repubblicana e democratica, e secondo lo spirito della scommessa sul futuro forte ed inclusivo di un’Europa politica, sempre più legittimata ad essere presente anche con azioni perequative e geopolitiche unitarie. Da più parti si rischia di essere impopolari se si parla di promozione dei diritti umani senza aprioristiche distinzioni tra etnie, condizioni socioeconomiche, sesso e orientamento di genere, religioni e filosofie.
Dovremmo sicuramente meditare pro-attivamente su quanto e come il sistema odierno di democrazia rappresentativa abbia realisticamente bisogno di distinguere appunto tra democrazia, da un lato, e garanzia delle minoranze con conseguente rischio d’impopolarità, dall’altro lato.
Il neoplenipotenziarismo monocratico è un rischio che talvolta i costumi demo-popolari delle destre vogliono correre, quando il senso comune della gente vorrebbe risolvere le questioni più spinose con un uomo solo al comando, nella gestione dei poteri. Si tratta però di un rischio istituzionale di non poco conto, un rischio che mina le fondamenta dell’ordine di equilibrio tra i distinti e separati poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. L’ottica dell’uomo solo al comando in vari settori – ottica presente nell’entroterra culturale di qualche esponente politico estero che esercita un certo fascino in alcuni ambienti nostrani – finirebbe per schiacciare gli insegnamenti della democrazia liberale, e della laicità metodologica intesa in senso ampio. Questi insegnamenti sono la dialettica, il confronto civile, l’interscambio delle esperienze critiche per edificare soluzioni adeguate alle sfide del momento, in una visione progettuale di ampio respiro, sempre capace di mettersi in discussione di fronte alle novità e alle diversità.
La primavera dei diritti politici, civili e sociali delle sacche più disagiate di umanità, nel rispetto dell’ordine pubblico-securitario di tutti, deve sapersi esprimere quale elemento costitutivo di una primavera anticriminogena all’insegna di un sempre più strutturato ed ampio contrasto alle mafie. Queste ultime, infatti, talvolta radicano le proprie oscure bassezze a partire dagli angoli impolverati dei bisogni e delle disperazioni di uomini e donne che, nell’asfissia del sacrificio quotidiano, ad un certo punto e comunque ingiustificatamente smettono di chiedere democraticamente idonee risposte socioeconomiche agli apparati istituzionali della politica.
Affinché le pur controvertibili opportunità derivanti dagli odierni, dominanti agnosticismi ortodossiologici ed ideologici non costituiscano l’anticamera di un più generalizzato e nichilistico agnosticismo politico-valoriale, pare opportuno oggi rigenerare – e non riesumare – i contenuti e i formanti dialettici all’interno degli schieramenti politici. Questo percorso di rigenerazione contenutistica su base assiologica, invero, è opportuno che maturi e si sviluppi senza mai cadere in anacronismi; pare opportuno infatti seguire un equilibrato rigore metodologico, storicizzabile tanto nella propria immanenza in fieri quanto – si spera – nelle meditazioni ex post delle dottrine giuspubblicistiche e sociopolitologiche. Il processo di ridefinizione dinamica delle macroscopiche agende politiche e degli schieramenti, su orizzonti di geografie politiche evolutive, non può non considerare le seguenti controverse questioni: 1) il tipo e il grado di sensibilità eurounionale da perseguire; 2) il livello di civiltà da promuovere e le opportunità (tra sicuri benefici culturali ed eventuali rischi) insite nella multietnicità sociale; 3) il posizionamento italiano sulla scacchiera internazionale per quel che concerne la ricerca e la tecnologia; 4) i modelli di sviluppo attraverso la produzione, lo scambio e la distribuzione delle opportunità di ricchezza.
Al di là delle contingenti e cangianti mode “pop”, onde evitare, nell’ulteriore corso della storia umana, disumane derive autoritarie a legittimazione neoplebiscitaria, la democrazia socioliberale e personologica ha il compito di non temere l’utilizzo degli strumenti giuridici per la tutela dei diritti umani conquistati nelle esperienze valoristiche poste alla base del neocostituzionalismo. I diritti primari concreti della persona concreta sono come radici immanenti al terreno fragile dell’esistenza individuale in società: la sussistenza, la sedimentazione e la maturazione di tali diritti non possono andare in ferie, e nemmeno in cassa integrazione.
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