Con gli occhi di Boccaccio e Avati

Il Dante che Pupi Avati ha portato sul grande schermo è frutto di un lavoro ventennale che il regista ha sempre avuto in cantiere, un progetto tentato più volte che, però, nel corso del tempo si è smarrito lungo un iter realizzativo che incontrava ostacoli di produzione e sceneggiature poco convincenti. Anche se la durata di idee come questa rischia spesso di far diventare la pellicola vittima di se stessa e del proprio concetto di perfezione, il film appare emanare una vitalità importante, energia sublimata da una poetica scorrevolezza di immagini che si incastra magistralmente con la carnalità medievale. Un’appassionata narrazione dei personaggi che si celano dietro mancanze e difetti, spiazzando completamente le aspettative dello spettatore.

Ciò che Avati restituisce a Dante è un’ambivalente individualità, lontana dall’astrazione popolare o dalla classica accademia scolastica, una dualità limbica che evidenzia tratti infernali e paradisiaci, un’eterna commozione inasprita dagli occhi di Giovanni Boccaccio, una sorta di Virgilio che conduce il Poeta in un viaggio fatto di flashback e dolci ricordi, lo stesso tour che Boccaccio intraprende per consegnare a Ravenna, alla figlia di Alighieri, un piccolo risarcimento in denaro per l’esilio a cui l’esimio papà era stato sottoposto, una sorta di parabola metaforica di quei trenta danari di ciascun Giuda dei tempi nostri, anacronistica propensione all’ignoranza intellettuale, la cancel culture che loda post-mortem.

La scelta stilistica offerta da Avati in Dante è romantico-nostalgica da un lato, e gotico-orrorifica dall’altro, è l’imprimatur diabolico che serpeggia tra le forme conturbanti di Beatrice, figura tutt’altro che angelica, oggetto inquietante di desiderio, spersonalizzata dalle funzioni corporee che esibisce senza pudore alcuno.

La biografia di Dante si scinde dall’opera letteraria, è un prontuario di architettura, pittura e politica, segna l’epoca come prodromico riconoscimento di un cambiamento umorale, traccia confini per poi valicarli con esperienza, dedizione e passione.

Il cast fa il paio con la naturalistica bellezza delle location in cui Pupi sceglie di girare. La maestria di Castellitto fa da chioccia a giovani attori quali Alessandro Sperduti Carlotta Gamba (destinata a far parlare di sé), abbracciando la delicatezza di Erica Blac, Leopoldo Mastelloni, Mariano Rigillo e quel Gianni Cavina alla cui memoria il quadro cinematografico è dedicato.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.