
Una spiritualità “totalmente occidentale e totalmente orientale”
Non capita spesso che una casa editrice spinga un autore ancora in vita, che ha all’attivo circa sessanta opere, ad organizzare la sua stessa l’Opera Omnia; ma è quello che è successo a Raimon Panikkar (1918-2010) che sia pure con una certa ritrosia e sofferenza ha accettato l’invito della Jaca Book a farlo con la collaborazione di Milena Carrara Pavan che ne ha curato i dodici volumi sino ad ora apparsi. Come tutti i volumi precedenti, anche quest’ultimo Spazio, tempo e scienza (2021) rientra nelle iniziative della ‘Fondazione Vivarium Raimon Panikkar’ che ha lo scopo di favorire il dialogo interreligioso ed interculturale sulla scia della singolare e non comune esperienza di vita dello stesso Panikkar che non a caso diceva di sé, senza per questo essere approdato ad un generico sincretismo: “sono partito cristiano, mi sono scoperto indù e ritorno buddhista senza cessare per questo di essere cristiano”.
Del resto la vita stessa di Panikkar è stata tutta all’insegna di avere vissuto più identità per le sue origini, da quella spagnolo-catalana a quella indiana, sino a sentirsi “totalmente occidentale e totalmente orientale” a partire dall’educazione cattolica sino ad essere ordinato prima sacerdote dell’Opus Dei per poi lasciare sino al matrimonio ma condividendo in pieno la spiritualità di quelli che chiamava altri ‘sentieri’ tracciati dalle diverse religioni. Sedotto dall’Occidente per l’importanza accordata alla storia e per avergli permesso di vivere intensamente il secolare e dall’Oriente per la pratica del continuo lavoro interiore, Panikkar ha attraversato più saperi dalla scienza alla teologia e alla filosofia, più religioni con le loro diverse esperienze mistiche sino a vedervi la presenza di un ‘Cristo sconosciuto’ col praticarle in chiave contemplativa, come recita il titolo di una sua opera del 1964 Il Cristo sconosciuto dell’induismo(Jaca Book, 2008); ma fare i conti con la ricchezza intrinseca di altre esperienze religiose, e di quelle orientali in particolar modo, ha significato trovare dei ‘sentieri diversi che conducono all’unità’, ad un Cristo universale che “non coincide solo con la figura storica del Gesù di Nazareth”, ad una vera e propria ‘cristofania’ (1987-2002, vol. III, t. 2 Opera omnia, 2016). Il continuo pellegrinare in altri ‘continenti interiori’ lo ha portato ad un modo del tutto particolare di vivere quella che chiamava ‘la pienezza dell’uomo’ nell’’esperienza della vita’ quasi negli stessi termini di Simone Weil, figura che non a caso si è confrontata col mondo orientale e tenuta spesso presente, in opere come La mistica e La gioia pasquale ( 2005 e 2007, Opera omnia) che sono sempre, come ha affermato spesso, frutto di esperienze reali anche se con la coscienza critica dei limiti di qualsiasi processo di concettualizzazione.
Tutto questo vivere intensamente la pluralità di tradizioni culturali e religiose ha fornito a Panikkar gli strumenti per essere un vero e proprio ‘creatore di ponti’, un fautore del dialogo e del confronto critico tra mondi ritenuti complessi con la coscienza critica da un lato della loro diversità e dall’altra della loro inseparabilità, della necessità del mutuo reciproco fecondarsi e rispettarsi; per tali motivazioni è stato sempre assertore del ‘dialogo indispensabile’ tra religioni sino a partecipare alle sedute del Concilio Vaticano II, come recita un suo lavoro L’incontro indispensabile. Dialogo delle religioni, base del progetto esposto in Pace e interculturalità (2001 e 2002, Opera omnia). All’interno di tale percorso non poteva non mancare un impegno di natura più politico teso al superamento dei conflitti con l’invito a capire di stare tutti sulla ‘stessa barca’ in quanto ‘parliamo della stessa realtà’ (Parliamo della stessa realtà? 2014) e ‘degli stessi mondi’ (Parliamo degli stessi mondi? 2019) e per coloro che credono che ‘parlano dello stesso Dio’ (Parliamo dello stesso Dio?2014); nello stesso tempo, quasi anticipando le indicazioni dell’Enciclica Laudato sì, si ritiene necessario rivolgere una doverosa attenzione ai problemi della terra cogliendone la implicita ‘saggezza’ e farsi coinvolgere in una ‘utopia concreta’ nel cercare di mettere in pratica reali condizioni di democraticità mondiale, come viene ribadito nelle seguenti opere Ecosofia. La saggezza della terra (2015), L’utopia concreta (2016) e Pluriversum. Per una democrazia delle culture (2018, sempre in Opera omnia).
Ci troviamo di fronte, pertanto, ad un pensiero che ha vissuto le weilliane ‘rugosità del reale’, di quel reale umano che è l’esperienza religiosa col praticare le logiche del pensiero complesso e col ricavare dall’abitarle concretamente una metodologia di tipo comparativo rivelatasi fruttuosa in molti campi tale da portare Panikkar all’insegnamento in diverse Università del mondo e a fare conferenze come le famose Gifford Lectures nel 1988-89 su Trinity and Atheism, col fondare diverse riviste filosofiche e centri di studi interculturali, a far parte del Tribunale permanente dei popoli e a ricevere varie lauree e dottorati honoris causa in diverse Università anche italiane. E non poteva non mancare in questo lungo e variegato percorso corredato da diverse ‘riscoperte’ come egli stesso le chiama da quella buddista a quella di ‘sentirsi monaco’, data anche una laurea in chimica oltre a quelle in filosofia ed in teologia, un’attenzione critica verso i problemi della scienza e il ‘destino della civiltà tecnologica’; ma tutto questo viene inserito all’interno di una proposta organica tesa all’evangelico colligite fragmenta, ma sempre frutto di una personale ‘riscoperta’ di tutto ciò unisce le esperienze umane da quella mistica a quelle scientifica ed artistica viste nella loro interdipendenza: “pensare tutti i frammenti del nostro mondo attuale per riunirli in un insieme non monolitico, ma armonico”.
Con parole prese quasi a prestito dal più sano pensiero complesso, ma ricavato dall’analisi comparata delle diverse mistiche, questo viene ritenuto necessario in ogni campo dell’umano perché “non possiamo vivere più oltre in compartimenti stagni e narcisisticamente soddisfatti in isolamenti che cessano di essere splendidi per diventare miserabili… Si tratta della interconnessione di tutto con tutto, come evidenziano praticamente tutte le mistiche”. Ma anche le analisi condotte da Panikkar sul mondo della scienza, a partire dai suoi interessi per il fisico Max Planck, e soprattutto sul mondo della tecnologia nascono sempre dal bisogno di interrogarle criticamente nel vederle espressioni di certi contesti, come quello occidentale, e di mettere in discussione la visione ‘monocromatica della scienza moderna’ e la sua evoluzione ‘monodirezionale’ intrapresa, come già denunciato dall’epistemologia della complessità; i vari saggi compresi in questo ultimo volume Spazio, tempo e scienza, quasi tutti scritti nel primo periodo della sua vita, insistono sul fatto che “né la scienza, né la tecnologia sono universalizzabili” e occorre, pertanto, inserirli in quella che chiama nella prima parte ‘visione di sintesi dell’universo’ attraverso una non comune analisi delle concezioni dello spazio e del tempo presenti nella tradizione indiana e nell’antica filosofia indica, che hanno prospettato visioni circolari dell’universo.
Nella seconda parte dal titolo ‘Scienza e tecnologia’, dopo l’analisi del contributo di Planck alla nascita della fisica quantistica, si parla dell’ontonomia della scienza e della sua ‘ambiguità’, del suo essere un “novum di appena mezzo millennio’, del suo modo di essere sì indispensabile ma ‘una forma particolare e ristretta di pensiero’; ma dato che “colligite fragmenta è stato il lemma della mia vita”, essa scienza va strettamente collegata con le altre dimensioni dell’umano, come del resto viene proposto nei biblici Proverbi, per non cadere nelle proprie assolutizzazioni che hanno portato allo sviluppo unidirezionale della stessa tecnologia. Occorre fare in modo che si allarghi quella che Panikkar chiama ‘la porta stretta della conoscenza’ per avviare su nuove basi il percorso tra ‘sensi, ragione e fede’ anche al di là della stessa “cosmovisione cristiana che è antropocentrica”, a sua volta “un novum di appena due millenni” e che in un certo qual modo per la sua origine biblico-ebraica non “è estranea alla nascita della tecnologia” per non aver visto “nulla di anti-naturale nell’intervento umano nella natura”. Ma tale fatto ha portato ad imporre un modello di sviluppo e di società basato sul “dominio, l’hybris umana che vuole estendere il proprio potere sul resto della creazione”, dominio che va messo sotto controllo con l’aiuto di tutte le forze disponibili; per questo, Panikkar si pone espressamente sulla scia di Simone Weil citandone una significativa frase: “fare l’inventario o la critica della nostra civiltà consiste nel mettere bene a fuoco la trappola che ha reso l’uomo schiavo delle proprie creazioni”.
La scienza e la tecnologia sono dunque le creazioni tipiche dell’uomo che non è stato in grado di pensarle nelle loro diverse dimensioni, riducendole solo “al pensare e al calcolare nella forma più radicale del termine” e di orientarle rimanendo vittima e ‘schiavo’ del potere ottenuto tramite di esse, preso dalle diverse forme di hybris messe in campo; quello che Panikkar chiama ‘sistema tecnocratico’, che “è qualcosa di più della scienza applicata”, è “un fatto complesso” come ad esempio “un aereo che non è stato fatto solo per volare, ma obbliga a volare” e così un computer che non è soltanto una “canalizzazione di uno spostamento di elettroni”, ma un insieme di “operazioni che implicano un riordinamento complessivo della materia e della vita umana”. Per questo si insiste a più riprese, nel saggio L’emancipazione dalla tecnologia, sul fatto che le diverse tecnologie non sono neutrali e che implicano visioni del reale ‘quantificabili’ il cui peculiare “tratto epistemologico è la conoscenza come potere: il controllo” sino ad arrivare “a trasformare il senso dell’umano”; pertanto, Panikkar già negli anni ‘80 era dell’avviso della necessità di “una seria conversione – metanoia – del mondo tecnologizzato sulla base di una profonda meditazione sull’attuale disagio dell’umanità”. E questo può avvenire favorendo gli “incontri tra il mondo tecnologico e la sapienza delle diverse tradizioni religiose e culturali”, un processo ‘dialogico’ col porre al centro della questione “le domande fondamentali della vita umana” in quanto “il problema posto dalla tecnologia non è tecnologico, ma antropologico” trattandosi del fatto che “è in gioco il destino dell’Uomo” e che “la situazione attuale ci mette davanti all’imperativo di essere attenti gli uni agli altri, e di agire insieme, ai diversi livelli della realtà”.
Il confronto costante con le diverse tradizioni culturali e religiose viste nel loro volto mistico, dove non a caso a dirla con Simone Weil si configura meglio la specifica dimensione veritativa, ha permesso a Raimon Panikkar di praticare un percorso pluridirezionale col darci una indicazione da vero e proprio pensiero complesso nel situarsi programmaticamente ‘ai diversi livelli della realtà’; tale indicazione derivatagli anche dall’interesse verso i risvolti umani della scienza, come si evince dagli scritti compresi in Spazio, tempo e scienza, può essere fatta nostra nel vivere quotidiano e se integrata con quello che chiama ‘il silenzio di Budda’ può acquistare più forza operativa: “il relativismo è pessimista e distrugge ogni criterio di verità, ivi compreso il proprio; la relatività [complessità], al contrario, lascia in piedi i criteri della verità senza però assolutizzarla” (Il silenzio di Budda).