«Lei è un cretino, s’informi, si convinca»
(Totò)
Ogni tanto arriva qualcuno a prendermi da dove sono e a portarmi, d’improvviso e senza motivo, nel mondo reale.
Mi spiego meglio: calpesto giornalmente il terreno della vita vera, con tutte le sue facce (che volesse Dio sfornarne di meno brutte, non mi offenderei; ma questo lo affrontiamo un’altra volta) quando di punto in bianco qualcosa mi sveglia e mi fa rendere conto che, fino a quel momento, ho passato, sì, tutto il tempo a fare e dire ciò che andava fatto e detto, ma stando in una specie di bolla di sapone.
In realtà, mi accorgo, ho passato ogni istante a guardare, osservare, riflettere, mettere nel cassetto, anche mentre magari chiacchieravo, cucinavo, lavoravo: qualsiasi cosa.
L’ho fatto anche oggi, per esempio: ho rivisto dopo anni il fratello di un’amica che pure era con noi. Stavamo parlando, ma parlando fitto fitto. Poi non so, qualcosa mi ha svegliata e appena ho potuto mi sono fiondata all’orecchio di lei: “Pazzesco! Tu e Pasquale avete le stesse e identiche mani. Non le stesse unghie, ma per come le muove e chiude le dita, non si può dubitare sia tuo fratello. Imbarazzante questa cosa! Incredibile!”.
Ma, per carità, mi chiedo autonomamente come abbia potuto stare dietro a un discorso denso e, intanto, essere assolutamente persa dietro al mistero di quattro mani così simili? E perché poi? Tanto presa da sentire impellente il bisogno di comunicarlo.
Ed è così ogni minuto, di ogni ora, di ogni giorno, di ogni mese, di ogni anno: guardo. Ascolto e osservo, qualsiasi cosa. Sempre un passo Oltre quello che mi succede intorno, sete di comprensione e conoscenza, che spesso mi costa l’aria di chi se ne infischia e fa nascere dubbi in chiunque, come fossi distante, arrabbiata, scostante. Mentre io, semplicemente, sono persa nelle mie valutazioni in fieri.
Dunque, deve essere stato così che ho scoperto che la vita è una tizia che non fa sconti: dico la mia, la vostra, quella di chiunque. Frustrazioni, fatiche, fallimenti, sconforto, collera.
(Scusate, mi interrompo, sto ridendo e voglio dirvelo: ho impiegato secondi infiniti a scrivere “collera” poiché soggiungeva alla mia mente solo il sinonimo in barese: “nervatura”).
Tornando a noi: niente sconti, niente espedienti che funzionino per saltare certi passaggi. Tocca accettare il gioco e camminare tanto verso gli ideali, quanto verso salite e dirupi, a seconda di come il tragitto gradisce, nella speranza di incrociare qualcuno che offra, amorevolmente e senza commiserazione, né doppio fine, almeno pane e acqua.
Ed è così, che, proprio seguendo questo istinto incontrollabile a notare le cose e prepararmi in anticipo a ciascuna di esse, mi accorgo che per certa gente il fatto di non avere sconti, cancella magicamente anche le colpe.
Ed ecco. La tua responsabilità dov’è?
La colpa è di Dio che ci ha fatto credere di esistere, mentendo.
La colpa è del destino che è stato ingiusto.
La colpa è della gente che non usa il cervello.
La colpa è di chi vuole il lusso e non vede il bello delle cose semplici.
La colpa è di Berlusconi perché piove (o di mamma per qualsiasi altra catastrofe).
La colpa è di chi ti spezza il cuore di punto in bianco, perché una mattina s’è svegliato e gratis ha deciso che andava bene così.
La colpa è sempre, sempre, di qualcuno. Per meglio dire, di qualcun altro.
Peccato che potrebbe essere vero solo se ti decidessi a fare ammenda, dal momento che un colpevole esiste, certo che esiste e quel colpevole sei tu, poiché nessuno può farti sentire felice e tu non sei responsabile della felicità di nessuno. Sei libero (J. Foster).