«Vi sono momenti nella vita che basterebbero a pagare, a compensare i tormenti d’un’eternità»

(Massimo d’Azeglio)

Era settembre 2018 quando ho imparato definitivamente che tutto è relativo: per esempio i milanesi, ma anche gli aostani, a seconda del punto da cui li guardi, possono essere terroni.

Ma io, che sono proprio terrona al cubo, non avrei mai nemmeno potuto pormi un problema del genere: molto semplicemente Milano, se proprio dovevo metterci il pensiero, era lontana e là sopra”. Non poteva esistere lidea che raggiungere quella città, in certi casi, al più avrebbe potuto dire aver fatto 2/3 di un viaggio.

Intendo, non è che uno non abbia niente da fare e si metta a fare certi calcoli, specialmente quando la geografia, per tanta parte, è rimasta a grufolare sui libri delle scuole elementari per poi riassumersi in una formula magica sempre valida: terziario e barbabietole da zucchero.

Un sabato pomeriggio, mi squillò il cellulare ed un numero sconosciuto, complice lorario, lasciava presagire solo la possibilità che dallaltro lato ci fosse un call center: ero appena rientrata dal Salento ed intendevo tornarci. Qui in nord Africa, infatti, quel 28 agosto cera ancora clima tropicale… A seguito di una congiuntura astrale rimasta sempre e totalmente senza spiegazione, distrattamente risposi al telefono, mentre ero concentrata a scrivere una mail per Roma Tre, Università La Sapienza.

Alberto Agnesina, uno sconosciuto don Alberto Agnesina, fino a quel momento: luomo che cambia i corsi delle esistenze e lo fa in cento modi diversi, rivelandosi però dal primo momento. In soldoni ti apre un portone a 1300 km, ti avvisa seraficamente di essere conscio che potresti svenire, poiché quel portone resta aperto per te al massimo 48 ore e si trova in luoghi che nella tua limitatissima testa non possono che essere ameni. Lo sa, eccome se lo sa, talmente bene che te lo dice… sottolineando che tanto lui, in quel momento, è ad un ricevimento per un matrimonio.

Ma grazie don Alberto! Avevo capito a malapena quale fosse il suo ruolo sociale (e che ruolo!), facevo fatica a star dietro al suo accento alpino pur non avendo affatto compreso quanto alpino fosse, balbettavo domande a caso, perché nel frattempo la veranda di casa mi girava intorno tipo trottola e intanto con lui, chiunque fosse, decidevo le sorti del futuro prossimo, in un modo strano ed unico nel suo genere. Si chiama: Modo senza saperlo”.

Bando alle ciance, quando conobbi personalmente don Alberto per la prima volta durante una cena, dopo aver fatto quel viaggio che a 2/3 passava da Milano e superava Aosta, dopo aver sentito la voce di Savino di Andria” dirmi: Quando leggi Gravellona Toce tu sali, sali sempre. Ripeti a tutti – Ciao ciao terùn – e sali, oltre le indicazioni per il confine di Stato. Non puoi sbagliare! Sali!” ecco, don Alberto mi mise una mano sulle spalle e mi spinse a passeggiare con lui come chi deve confessare qualche segreto o parlare di cose serie e personali… cosa mai poteva avere da dirmi di così serio quelluomo che mi aveva catapultata in un universo parallelo con una sola telefonata? Cosa? Teoria dei massimi sistemi, aveva urgenza di spiegarmi come si usano le caldaie lassù, perché un nordafricano non lo sa fare nel modo giusto e rischia seriamente di far congelare le tubazioni e spaccare tutto.

Roba da matti! E aveva di nuovo ragione eh, sia ben inteso. Mi viene ancora da ridere: ridere di me, naturalmente.

Bene, non c’è modo qui per raccontare le puntate dellintera serie oggi chiusa e non conclusa, ma oggi ho ben pensato di tornare con la mente ad un giorno in cui, sulla veranda ballerina, ero andata a prendere un aggeggio da una mensola. Era spuntato, così, un portachiavi di plastica blu, che avevo comprato almeno tre anni prima per le chiavi di una casa che ora non è più mia, poiché lassù non vivo più ed è riaffiorato ciò che non mi appartiene dalla nascita, ma sarà mio per sempre:

D di desiderio.

D di donna.

D di disarmante.

D di diluente.

D di decifrare.

D di decollare.

Di di dato.

D di donato.

D di dea.

D di Dio.

Non continuo e lo scelgo, perché sarebbe una battaglia persa: ci sono cose create, cresciute e pasciute per rispondere ad un unico destino.

Destino con la D.

Ebbene, che abbiate o meno mai giocato a nomi-cose-città (ma se dite di non averlo fatto, secondo me, mentite), che siate o meno avvezzi a fare gli spelling per i codici fiscali (e anche qui… penso non ci sia scampo), non potrete sfuggire a questa storia, che è la storia di chiunque, incluso chi non ci pensa.

La D distillata era, è e sarà sempre e solo una:

D di Domodossola. A nord di Aosta.


FontePhotocredits: Miriam Arsedea Massarelli
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.