Quando siamo violentemente costretti a lasciare sul tratto della ferrovia Andria-Corato i resti mortali di alcune persone care, sembra che la vita non abbia più né presente né futuro.
Realtà crudele. Si è atterriti e sorpresi, come sempre avviene davanti alle grandi e irrevocabili sciagure. Tra disorientamento, angoscia e rabbia, ci sentiamo scossi e violentati.
Ci sono dei giorni nella vita, come questi, in cui il dolore toglie le parole e ci porta via persino la voglia di parlare.
Quando siamo violentemente costretti a lasciare sul tratto della ferrovia Andria-Corato i resti mortali di alcune persone care, sembra che la vita non abbia più né presente né futuro. Lo scompiglio interiore è tale che i discorsi sembrano vuoti e le parole non comunicano più.
D’accordo: la morte non è qualcosa di assurdo e incomprensibile; fa parte del processo naturale delle cose che ruotano attorno a noi, ma ciò che non ha senso non è la morte in sé che pur sconvolge, ma il modo imprevedibile e violento con cui ci raggiunge, lasciandoci nel vuoto e nel disorientamento.
La vita è un processo evolutivo nel corso del quale si operano delle scelte e si progetta un futuro; è assurdo che tutto questo sia interrotto dalla morte; anzi, ci si rende conto, ahimè, che non è vero che si ha sempre del tempo davanti.
Dio mio, Dio mio, perché ci hai abbandonato? In occasione di queste vittime abbiamo sperimentato, forse, il silenzio di Dio: “Veramente tu sei un Dio nascosto” (Isaia 45,15). Abbiamo verificato che la fede, per chi la possiede, non libera dall’assurdo e non rende invulnerabili o eroici di fronte al dolore.
L’assurdità di queste morti, scuotendo le coscienze, a volte pretende una risposta che esula dal dare la caccia frettolosa agli eventuali responsabili; questa può avvenire mettendo insieme i cocci della nostra fede piccola e impura, cercando di andare alle radici del nostro credo. Pronunciando la parola “resurrezione” compiamo un atto di violenza contro il presente: i legami affettivi continuano, ma in maniera diversa, e questo costituisce la vera e grande difficoltà…, una difficoltà che consisterà ora nel riprogrammarsi.
In questo il ricordo di coloro che abbiamo lasciato sulla ferrovia Andria-Corato può essere un atto di affetto, ma può diventare anche un momento in cui raccogliamo la testimonianza delle comuni fragilità umane per proseguire l’impegno che ha reso feconda la vita di coloro che ci hanno lasciato.
Per i credenti poi la resurrezione non è una seconda vita, ma rappresenta la fioritura di questa vita, una grandezza che può operare solo Dio: è Lui che resuscita i morti come ha resuscitato Gesù Cristo.
La speranza della resurrezione non significa quindi una fuga nell’aldilà, bensì un radicale rimando all’aldiquà, alla cura autentica della vita e all’impegno operoso nella storia. Nella morte rimettiamo la nostra vita nelle mani di Dio che a sua volta la porta a compimento.
Noi lo preghiamo soprattutto per ringraziarlo del dono di questi “compagni di viaggio”, affinché li accolga con le braccia spalancate. Lo preghiamo in affettuosa solidarietà con chi soffre per la morte di un familiare o di un amico.
Questa preghiera, non toglie il dolore, non asciuga le lacrime, non libera da preoccupazione…, toglie però dalla solitudine. Che la preghiera comune ci accompagni a varcare la soglia della speranza che oltrepassa il dolore presente!
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Mai più, mai più, mai più! Treni sicuri, giustizia vera: firma la petizione