Giuseppe Costanza, autista personale del giudice Giovanni Falcone per ben otto anni, in visita al liceo scientifico “R. Nuzzi” di Andria.

È sempre difficile parlare di criminalità, parlare di mafia, parlare di vite spezzate. Tuttavia è sempre necessario. Se si vuole estirpare certa erba cattiva ormai presente sul nostro territorio, è utile tenere ben a mente le parole del magistrato Giovanni Falcone: “Il vigliacco muore più volte al giorno, l’uomo coraggioso una sola”.

Proprio attorno a questo personaggio e all’attentato che l’ha ucciso è ruotato l’incontro tenutosi la mattina dello scorso 29 aprile, presso l’auditorium “Michele Palumbo” del liceo scientifico “R. Nuzzi” di Andria.

Grazie alla dottoressa Boda, direttrice generale del MIUR, la quale ha proposto e permesso queste iniziative scolastiche, gli studenti hanno avuto la grande opportunità di incontrare e ascoltare Giuseppe Costanza. ‘Grande’ perché, come ricorda il professor Paolo Farina (mediatore di uno dei due incontri a cui hanno partecipato oltre 250 studenti per volta), i giovani non ascoltano i maestri ma i testimoni.

Giuseppe Costanza è, infatti, testimone della strage di Capaci che ha portato alla morte di Giovanni Falcone, di sua moglie e di tre agenti della sua scorta. Egli era l’autista giudiziario del magistrato, ma quel giorno, il 23 maggio 1992, non era lui a guidare la solita Fiat Croma bianca blindata. Falcone aveva deciso di portarla egli stesso fino al luogo del suo incontro con altri giudici.

Giuseppe Costanza sedeva sul sedile posteriore dell’automobile e questa è stata la sua salvezza. La Fiat bianca si è schiantata contro un muro di detriti alzati dall’esplosione di 500 chili di tritolo mentre viaggiava sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, a pochi chilometri da Palermo.

Il nostro testimone ha riferito di essersi svegliato in ospedale con la mandibola sinistra frantumata, il bulbo oculare sinistro fuoriuscito dall’orbita, milza e parte dell’intestino asportate, trauma cranico, alla spalla destra e alla colonna vertebrale. È rimasto in coma per parecchio tempo, tanto che era stata prenotata una sesta bara per lui.

Giuseppe Costanza, dopo aver appreso della morte di Giovanni Falcone, ha subito pensato che non fosse vero. Non poteva essere vero. Sicuramente era stato messo in sicurezza ed era stata comunicata la sua morte per non destare altri attacchi mafiosi. “Avrei preferito morire io al posto suo, perché il suo lavoro avrebbe portato alla scoperta e all’arresto di numerose cellule criminali”.

Sollecitato dalle domande dei ragazzi presenti in auditorium, l’ospite ha ammesso che la sua vita dopo l’attentato è peggiorata. Si è sentito emarginato da chi avrebbe dovuto farlo sentire ancora vivo, senza ricevere sostegno o gratificazione.

Il professor Paolo Farina chiede, allora, della figura di Antonino Meli (giudice preferito a Giovanni Falcone come consigliere istruttore della Procura di Palermo). Quest’ultimo aveva smantellato il pool antimafia convinto del fatto che ogni magistrato doveva poter lavorare su qualsiasi caso o indagine. Proprio da questa decisione sono nati i primi guai per Falcone che è stato totalmente emarginato.

A tal proposito, si conglia la lettura del libro Stato di abbandono (Minerva Edizioni, Bologna 2017), scritto da Riccardo Tessarini. È il racconto autobiografico di Giuseppe Costanza, del suo lungo rapporto con il giudice, di ciò che ha patito dopo la strage dalle Istituzioni, isolato e strumentalizzato dall’Informazione. Sulla quarta di copertina è riportata questa frase significativa: “Falcone diceva sempre che la mafia non è tanto quella che ti spara, ma quella che ti emargina”.

Paolo Farina propone, quindi, di parlare del Falcone che spingeva il carrello e Giuseppe Costanza racconta che il magistrato era solito raccogliere i fascicoli delle indagini da solo, senza aspettare che altri lo facessero per lui. Era un motore trainante, dava l’esempio e lasciava che i suoi colleghi lo seguissero.

Costanza racconta anche che Falcone si fidava di lui e teneva ai suoi uomini al punto tale da non volerli mai lasciare soli in luoghi pericolosi per la loro incolumità.

Rispondendo alla domanda del professor Manzacca sull’attuale presenza della mafia in Italia, l’ospite risponde sicuro: la mafia è ancora presente nel nostro territorio. Certo, ha cambiato atteggiamento e si è adattata ai tempi, ma riaffiorerà. Noi dobbiamo essere sentinelle e vigilare affinché non si dia spazio a questa forma di criminalità. Dobbiamo parlarne e divulgare una forma di legalità. “Le idee di Giovanni Falcone devono camminare sulle nostre gambe, bisogna ribellarsi all’indifferenza!”.

Di seguito prende la parola, l’avv. Michele Caldarola, presidente del presidio di Andria dell’associazione “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”. Egli ricorda che, in occasione della Marcia della Memoria e dell’Impegno del 21 marzo 2016, i cittadini andriesi hanno potuto osservare i resti di una delle auto blindate fatte saltare in aria durante la strage di Capaci e invita tutti gli studenti a non abbassare mai la guardia, a non restare indifferenti.

L’incontro si conclude con una nota di speranza e di redenzione. Prima, tramite le parole della vedova di Vito Schifani (agente della scorta): “Io vi perdono se avete il coraggio di cambiare”. Poi, attraverso una citazione dello stessoGiovanni Falcone: “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.