L’afflusso dei profughi sta bloccando l’Unione europea. Eppure la soluzione c’è.
Laddove le risposte non arrivano dalla politica, magari arrivano da chi non te l’aspetti. Ad esempio, dal mondo religioso. Che si sia credenti o meno, si tratta del segno tangibile che esiste un’altra Europa oltre a quella dell’indifferenza: è il variegato mondo delle comunità di fede, sostiene Paolo Naso, le quali, disponendo di una ricca e preziosa riserva etica, possono aiutare a definire e arricchire ciò che oggi chiamiamo politiche sociali. In proposito, un documento del ministro per l’Interno del governo Inglese (febbraio 2004) riporta: “Le comunità di fede sono dei cancelli che garantiscono l’accesso alle enormi riserve di energia e impegno dei loro membri e possono essere di grande importanza per lo sviluppo della società civile…” .
Una classe politica è responsabile quando ha il coraggio di avanzare proposte sostenibili e utili al bene comune anche se impopolari. Al contrario, ignorando intenzionalmente l’etica della sostenibilità e dell’utilità generale, la politica è irresponsabile quando utilizza le armi della propaganda populista per costruire fantasmi utili a rafforzare il proprio elettorato: tutto si può fare per qualche voto in più, anche evocare paure e inventare nemici.
Il problema è la confusa risposta politica agli attuali flussi migratori. In reazione alle scompaginate politiche europee in materia di tutela e accoglienza dei richiedenti asilo, da vari mesi è in atto il solidale progetto Mediterranean Hope, totalmente autofinanziato. Tale progetto, come sostiene il portavoce Paolo Naso, è gestito dall’8 per mille della Chiesa Valdese, con i contributi raccolti dalla Comunità di Sant’Egidio per l’accoglienza in Italia e il sostegno di “Operazione colomba” della comunità papa Giovanni XXIII, che si è spesa sia nei campi in Libano sia per cercare reti di accoglienza in Italia.
Ma permane la vera e grave difficoltà nell’educare l’Europa a fare i conti con la dimensione migratoria, sintomo di un problema più generale, che non si può affrontare costruendo muri o chiudendo frontiere: impossibile dal punto di vista politico, tecnico e mentale.
Purtroppo ci si dimentica che esistono leggi italiane e internazionali che tutelano i migranti vulnerabili: minori non accompagnati, malati, feriti, donne in gravidanza, persone perseguitate e richiedenti asilo. Queste leggi sono il patrimonio giuridico e civile che ha determinato il primato morale dell’Europa sul piano del diritto umanitario. L’aggancio giuridico per il progetto Mediterranean Hope, aggiunge Paolo Naso, è stato trovato in un articolo del regolamento di Schengen che consente a qualsiasi Paese dell’Unione europea di rilasciare dei visti di ingresso per “protezione umanitaria”, una norma mai applicata, ma abbastanza flessibile da consentire l’apertura di “canali umanitari” riservati a soggetti vulnerabili.
Il progetto si propone di contrastare radicalmente la sciagurata e cinica impressione che si debba morire in mare o che addirittura le stragi siano positive perché scoraggiano altre partenze. Se restiamo in questa logica ci si schiera “dalla parte di Caino”: di chi uccide suo fratello e fa finta di non saperne nulla.
La politica è in ritardo e le Chiese possono dare un contributo, non per sostituirsi ad essa, conclude Paolo Naso, ma per indicare una strada diversa: senza il valore aggiunto di un ethos – proprio delle comunità culturali e quindi anche di quelle religiose – i processi politici rischiano di diventare pura tecnica di governo, fredda e distante dal cuore della gente. Il dialogo nasce e cresce anche imparando ad amare ciò che non ci appartiene.