Sono state scritte molte pagine per illustrare la paura del diverso, dell’altro diverso da me. Dovremmo rileggerne qualcuna: per esempio, gli artt. 1 e 2 della Costituzione.

A seconda del periodo storico e culturale si è messo in evidenza un aspetto particolare dell’essere comunità e della paura del diverso. Il diverso, lo straniero, i profughi-migranti di oggi, hanno sempre rappresentato, nel corso della storia, una minaccia. L’altro è pericoloso.

Ma cosa minacciano i migranti che mettono a rischio la loro vita pur di approdare in Europa?

Le risposte sono tante a seconda del piano di analisi che si preferisce. Questa massiccia onda migratoria, che è sotto gli occhi di tutti, è un forte segnale alla crisi che l’intero mondo occidentale sta vivendo: crisi valoriale, strutturale, una crisi che manifesta tante contraddizioni. La libera circolazione riservata alle merce, ma sbarrata alle persone.

C’è un piccolissimo particolare da tenere sott’occhio a proposito dell’onda. Un’onda è inarrestabile, incontrollabile, imprevedibile, inaspettata, potente, e può provocare morte e distruzione. Le “onde” dei migranti-profughi che da tempo ormai si abbattono sulle coste del Mar Mediterraneo sono simili ad uno tsunami, che è un moto ondoso anomalo e provoca molta distruzione, in questo caso, centinaia e centinaia di morti.

Interi popoli cercano di raggiungere le zone più ricche della terra, ma sono bloccati perché minacciano l’illusione e l’inganno di un benessere che si rivela sempre più fragile. I poveri, che le statistiche dicono in costante aumento, non appaiono nelle varie vetrine televisive o mediatiche, sono sempre più separati dai centri delle città ed esiliati nelle periferie; i migranti ci mettono faccia a faccia con una povertà che noi non vogliamo vedere.

I migranti frantumano l’idea di “guerra giusta”, portando con loro il conto a chi, da anni, continua a lanciare bombe su città “straniere2, eliminando, così, stabilità e piantando odio. Con i loro volti solcati dalla paura, i migranti riportano sulle nostre coste il terrore della guerra urlando la nostra profonda inciviltà, divenendo, così, testimoni scomodi per gli intellettuali (ipocriti) dello scontro di civiltà.

Per questo gli sbarcati sulle coste non sono visti come persone o l’altro da soccorrere, ma come uno da cui difendersi quasi un nemico o un mostro da annientare, tant’è vero che le dichiarazioni non sono rilasciate sulla tragedia umana, ma sulla minaccia della sicurezza.

La sicurezza del nostro Paese e delle nostre città viene prima, dicono, della meta “intravista” da centinaia di uomini e donne che scappano da violenze, angherie, persecuzioni, fame, negazione di diritti civili.

Se l’Italia e l’Europa sono in crisi di sicurezza, cosa pensare dei tanti Paesi (il cui elenco sarebbe interminabile) teatri di guerra, guerre permanenti, a volte, volute e sostenute proprio dall’Occidente?

Forse la grande paura che noi italiani ed europei abbiamo è che queste persone ci ricordano tutto quello che stiamo perdendo e calpestando: il coraggio di lottare per edificare un progetto di vita libero da condizionamenti, l’essere felici per le piccole cose, la meraviglia della vita, l’incontro e la relazione con l’altro.

“Fermati”, ingiunge Kapuściński al suo lettore, “Accanto a te c’è un altro uomo. Incontralo: l’incontro è la più grande, la più importante delle esperienze. Guarda il volto che l’altro ti offre. Attraverso di esso non solo ti trasmette se stesso, ma ti avvicina a Dio”. (L’altro, Feltrinelli 2015)

L’indifferenza, l’insensibilità, l’ignoranza che ci portano a ignorare l’altro ci allontanano dal bene, mentre riconoscere la differenza, l’alterità è “ricchezza, bene, valore” e ci avvicinano ad esso.

Una società che si recinta e si barrica in se stessa, che ha paura dello straniero e della diversità è una comunità meno libera, democratica e senza prospettive future.

Non si possono difendere i propri diritti senza riconoscere i diritti di ogni persona, a incominciare da chi è debole.

È questo il cammino che come “Comunità” dobbiamo tornare a imboccare, a ritrovare e reinventare: sono lì a ricordarcelo, tra l’altro, gli artt. 1 e 2 della nostra Costituzione.