Trasformare la fragilità in opportunità
Iniziare un libro significa predisporsi ad un incontro con l’ignoto. Sostare davanti a un foglio di carta, alla ricerca delle parole per cominciare a scrivere, è un po’ come aspettare l’alba. La genesi delle cose è un momento magico: gli inizi sono microcosmi del tutto che verrà.
Eppure, anche gli inizi hanno i loro inizi e questi restano spesso celati. Indagarli, approfondirli, scoprirli, goderne è un’esperienza che può fare la differenza. Restando in tema di lettura e scrittura, guardare come nasce un foglio di carta tocca il cuore. Almeno questa è stata la mia esperienza al museo della carta e dea filigrana di Fabriano, mentre osservavo come nasce un foglio di carta secondo il metodo medievale.
Un setaccio rettangolare tira su da una tinozza una buona quantità di cellulosa imbevuta d’acqua. Il rettangolo ottenuto viene catapultato su un piano e poi pressato con vigore, affinché l’acqua in eccesso fuoriesca. Quello che resta è un gracile foglio, da maneggiare con cura e da mettere ad asciugare, esattamente come si fa per il bucato. Così, da un intreccio di acqua, aria, calore e terra, nasce una pagina nuova.
Ma ciò che mi ha colpito è la possibilità di trovare in questo processo (ormai sostituito dalla rapidità industriale) una metafora per la vita umana, che sempre abbisogna di un’immersione decisa nel reale, così come della resistenza e della resilienza per affrontare la pressione degli eventi e degli incontri, salvifica perché in grado di sottrarci ciò che non serve. E poi la cura, la delicatezza e il calore per trasformare la fragilità in opportunità, la prova in nuovo cammino.
Nell’era dei social, in cui condividere tutto sembra diventato un dovere (con il corrispondente dovere di chi legge o guarda di lasciare la propria conferma nella forma di un like), recuperare un po’ di sana segretezza, un po’ di discrezione non è male. Ma adesso questo non c’entra. Perché andare dentro, in fondo, a certe cose, fino a svelarne i segreti, resta un dovere ancora più grande. Un certo spiritualismo, più per pigrizia e paura delle domande scomode che per reale convinzione, porta avanti lo stendardo dell'”essenziale invisibile agli occhi”. Incontrare l’intimità silenziosa di alcuni processi, invece, è la via per vivere più pienamente. Restituire visibilità all’invisibile, insomma, contribuisce a rendere più vivibile, più concreto, più vicino il mistero che abita il quotidiano.
Pulsa del sacro nell’ordinario: occorre dargli voce, per “darsi alla religione della gratitudine” (F. Arminio), per fare di certi inizi l’occasione di ricominciare e trovare in certi concepimenti la linfa per rinascere.