Il contributo di Giorgio Derossi

In un momento in cui da più parti si ritiene necessario ‘riformare il pensiero’ ab imis per riancorarlo alle ‘infinite ragioni del reale’ per lo più ‘silente’, a dirla con Leonardo Da Vinci, e liberarlo dalle impalcature concettuali entro cui a volte è stato forzatamente catapultato per nasconderne le diverse ‘rugosità’ nel senso weiliano del termine non facilmente manipolabili, ci viene in aiuto  un coraggioso e denso lavoro  da parte di Giorgio Derossi, L’intravisibile. Saggi di filosofia sperimentale: analisi fenomenoscopiche (Milano-Udine, Mimesis 2024), ricco di diverse peregrinazioni nelle pieghe del più sano pensiero filosofico-scientifico; esso è caratterizzato da una non comune tempra teoretica nel  cercare di aprire delle nuove ‘frontiere epistemologiche’ in senso bachelardiano nella critica “rivisitazione del rapporto scienza-filosofia”. E si segnala anche per il fatto che ci trasporta in un percorso di ricerca carico di diverse tensioni non solo cognitive in quanto  frutto dell’essersi abbeverato  a diverse fonti  come le esperienze poetiche di J. W. Goethe e di  R. M. Rilke; esse sono, infatti, viste nel loro sforzo di superare i limiti delle parole e di dare piena voce all’invisibile per andare oltre il “brulicante deserto dell’ultima spiaggia’” costituita dal fatto di aver  ridotto la conoscenza a conversazione e a linguaggio, nel senso di Richard Rorty e Hans Gadamer. Per sottrarsi agli esiti  di quello che  viene chiamato  “riduzionismo simbolico” presenti in più ambiti del pensiero moderno e contemporaneo, è ritenuto cogente con Goethe ritornare a ‘farci intendere il vero senso’ del reale con “l’entrare dentro le cose”, a vedervi con Rilke, mediato da Gabriel Marcel, un ‘Orfeo che vive ovunque’ e a ‘riconoscere nell’invisibile un grado  superiore di realtà’; in tal modo si dà la dovuta attenzione a tutto quello che, sulla scia di Ludwig Wittgenstein, viene considerato ‘eterno ed importante’ per l’uomo, ma a volte ‘coperto da un velo impenetrabile’ e pieno di indizi tutti da decifrare e bisognosi solo di essere colti per quelli che realmente sono.

Non è dunque a caso se Derossi ci consegna il suo lavoro come un vero e proprio “sondaggio” con un corredo di idee emerse gradualmente come “la punta di un iceberg” col renderci contestualmente partecipi  del “progressivo ‘scioglimento’ di una massa di altre idee e teorie prima stabilizzate”, come quelle trovate nello strutturalismo segnico messe in essere dalla semiologia di De Saussure  e nella ‘fenomenologia ambigua’ merleau-pontyana, esperienze di pensiero oggetto di precedenti rivisitazioni critiche; il percorso messo in atto, arricchito dagli originali risultati ottenuti dall’importante scuola triestina di ‘fenomenologia sperimentale’ di Gaetano Kanizsa e dalla presa in carica di alcuni sviluppi provenienti dalla ‘fenomenologia eretica’ nel senso avanzato da Luca Taddio,  è imperniato in modo strategico su quello che viene significativamente chiamato “continuo ‘filo di Arianna’, costituito dall’idea di fondo dell’intravisibile”; esso è ritenuto presente nella nostra tradizione occidentale  dal mondo greco con Zenone sino a Galileo, Mach ed Einstein, considerate  vere e proprie “mappe”  con cui fare debitamente i conti, e  ha permesso di mettere in campo nel ‘gran theatro della conoscenza’, come lo chiamava Federico Cesi,  gli esperimenti mentali rivelatisi strategici nell’ambito delle ricerche fisico-matematiche col dare seguito ad un ricco corredo di controversie.

Ma tale idea di intravisibile, su cui poggia l’intera sua “difficoltosa navigazione” che si avvale di diverse ‘mappe’ col dire ‘no’ in senso bachelardiano ad “attraenti ma scoscesi arcipelaghi” concettuali  con i loro “avvisi ai naviganti”, proviene, come tutti i genuini problemi di natura teorica, da sollecitudini della vita reale come quella trovata da parte di Derossi nel  nipotino  che, condotto in un prato a giocare,   nota tra le altre cose un ciclista che corre; e tale fatto, affrontato con occhi non contaminati dal peso delle parole, si trasforma in  una  vera e propria “problematica passeggiata” che porta il  bambino come “un filosofo in erba” a porsi la domanda ‘come fa a correre il ciclista pur rimanendo seduto sulla sella e muovendo insieme le gambe’; se ne  evidenziano le incongruenze  e si mettono in opera “due criteri strettamente correlati: quello della pluralità dei punti di vista da cui osservare, e quello che potremmo chiamare ‘endoscopico’  e interno all’oggetto osservato”, fattori che impediscono da un lato di ivi “sovrapporre i propri preconcetti” e dall’altro permettono di distinguere il vedere dall’osservare, che “è un vedere qualcosa in più, non quantitativamente bensì qualitativamente”.  Con tale ottica si dà spazio al “nocciolo intravisibile” che non è il noumeno kantiano,  ma al “semi-nascosto” cioè a quell’aspetto o “indice”, che sfuggito alla percezione immediata, “dev’essere scorto nel suo apparire in profondità” col liberarlo “da ciò che lo nasconde”; e  per essere adeguatamente  reso visibile ha bisogno di un’operazione di tipo “trascendentale”, cioè in grado di dare all’intravisibile quella funzione di essere “condizione di possibilità del tempo”, dello spazio e del divenire nel “far vedere l’intrinseca correlazione fra ‘il visto in superficie’ e ‘il visibile in profondità”. In tale modo la filosofia mostra il suo volto “sperimentale” e la scienza stessa acquista una dimensione “fenomenologica’ o, più precisamente ‘fenomenoscopica’” divenendo più in grado entrambe di fare emergere “il Logos insito nell’ambito percettivo-visivo del ‘mondo esterno” al di là del loro “corredo esclusivamente ‘logico’”.

A tale scopo sono stati messi in campo gli esperimenti mentali da Zenone ad Einstein i cui paradossi sul tempo vengono analizzati col loro “nucleo intravisibile” che Derossi prende  dettagliatamente in considerazione alla luce di quella che in diversi lavori ha chiamato ‘filosofia sperimentale’ col compito specifico di sondare quei “fattori intravisibili che sono determinanti nel fare apparire le ‘ragioni risolutive dei problemi paradossali di cui la ‘libera ragione’ pretende di ‘aver ragione con le sue sole forze”; vengono, pertanto, messe in essere delle “di-mostrazioni degli esperimenti mentali” che mirano “ad evidenziare le modalità sperimentali” con cui l’intravisibile diventa una reale ‘condizione di possibilità’ col  fare emergere “l’insito nel visibile” al di là dell’impostazione logico-linguistica.  Si mette in atto un non comune ‘travaglio’, nel senso di Federigo Enriques, della dimostrazione visiva, ad esempio, “che la relatività del tempo è reale, ‘meta-fisica’ e non solo funzionale alla correttezza e veridicità della Teoria della relatività”, dove hanno avuto un ruolo-chiave gli esperimenti mentali con delle “pur sofisticate visualizzazioni”, come nel caso di quelli cinematici di Zenone; ma in questi casi non ha funzionato appieno per Derossi “il principio fenomenoscopico basilare” con la sua “penetrante capacità innovativa” anche sul versante della sperimentazione, quello di permettere “un’autentica visivazione dei fenomeni” e di cogliere l’autentico significato fenomenico insieme ai loro “aspetti e fattori essenziali”, in quanto i calcoli, i diagrammi e le figure con la loro astrattezza hanno impedito di fatto “l’apparire dei dati intravisibili indicatori di quelli invisibili o svisati da quei presupposti”.

In tal modo si ‘in -tra-vede’ il ruolo strategico della “componente intravisibile” che nel non essere ‘visibile’ fornisce gli strumenti necessari per avere una “visione delle condizioni reali dell’obiettivo apparire fenomenico” come la cruciale problematica del “raggiungimento di un mobile da parte di un mobile più veloce”; essa viene ritenuta in grado di “consentire una puntuale verifica della validità di due teorie sul tempo e sul movimento fra le più radicali e discusse – quella ‘filosofica’ di Parmenide e quella ‘scientifica’ di Einstein”. Con un peregrinarvi dentro nelle pieghe più nascoste, Derossi fa emergere chiaramente il fatto che le teorie filosofiche e scientifiche, nel prendere in debita considerazione i “fenomeni,  non hanno solo una validità logica e matematica, ma anche conoscitiva” tout court, “in quanto trovano piena corrispondenza nei fenomeni stessi da esse colti nel loro proprio ‘significato’, liberato dalle ingannevoli interferenze dell’apparire percettivo”. In tal modo un percorso teoretico rivela le sue tensioni non solo cognitive  per disvelare “la via regia dell’intravisibile” a partire dal cogliere “le mosse dell’invisibile” col suo pieno portato di “misteriosa pregnanza di senso”; ci fa partecipi delle diverse “fermate degli esperimenti mentali” e delle “visibilizzzazioni dei fenomeni trasformandole  in ‘tappe’”, dove essi appaiono con i loro fattori intravisibili e portatori come tali di condizioni di possibilità “in quanto significati e di realtà in quanto riferiti”. Dare spazio all’intravisibile col dare voce all’invisibile permette, pertanto, di comprendere quei processi di ‘di-mostrazione’ del fatto che esso è capace di “darsi forma risolvendo i problemi  che al Pensiero appaiono come ostici paradossi, e alla Percezione invece come finali visivazioni”.

Giorgio Derossi, che nella parte finale  fornisce un piccolo glossario dei diversi termini usati e del significato ad essi attribuito, ci rende partecipi di una tenace resilienza di una idea di base, come quella di intravisibile, analoga a quella di complessità, in grado di darle forma ed in primis di tipo visivo-percettivo, e per questo  finita sul piano conoscitivo anche se a suo modo “completa se è mirata a cogliere gli aspetti importanti per la formazione oggettiva dei fenomeni”; in tal modo è in grado di produrre  ulteriori e profonde semantizzazioni ‘in-tra-visibili’ tutte da esplorare per fare uscire il pensiero dall’’ultima spiaggia’ del puro linguaggio e per rigenerarlo nel ritrovare le ragioni del suo engagement nelle logiche del reale. Questa operazione è un viaggio che “strada facendo” ci fa vedere e scoprire “la meta-fisica celata nella fisica e viceversa, la scienza nella filosofia e viceversa, il Pensiero nella percezione, la forma in sé nelle forme relative, le condizioni di realtà nelle condizioni di possibilità”. Come l’immergersi nel mondo della complessità,  come ultimo dono razionale, l’immersione nell’intravisibile non ci fa vedere le “contrapposizioni bensì le integrazioni reciproche”;  permette di vedere  senza veli i “rapporti  Assoluto-Relativo,  Finito-Infinito, Dio-Uomo, Filosofia-scienza” e ci libera dall’ideologia sempre in agguato nel manifestarsi come “degenerazione dell’idealizzazione-visualizzazione autoreferenziale avulsa dal ‘mondo esterno’ su cui interviene di forza”.

Ed il lavoro di Giorgio Derossi, L’intravisibile, tra gli altri non meno importanti obiettivi, ha quello di liberarci da questo “virus pervasivo e invasivo” che è l’ideologia nelle sue diverse forme e nascosta in ogni angolo, col fornici un “antidoto” costituito dall’”osservazione problematizzante degli effettivi termini dei problemi”; è inoltre un invito a fare i conti sia sul piano cognitivo che umano più in generale con l’intravisibile e a farlo compagno di viaggio nelle  faticose mappe, tappe e ponti che ci costruiamo col portarci verso ‘l’amica verità’, a dirla col vecchio Platone che, pur dicendo nel Fedone di occuparsi di Socrate, riteneva  più consono occuparsi di essa e dei suoi destini. Questo invito platonico, oggi, si rivela più che mai strategico pur sapendo che la fatica del pensare col contestuale ‘travaglio dei concetti’ e della ‘di-mostrazione’ risulta essere oltremodo una operazione pesante e ostica per la gran mole di risultati del pensiero filosofico-scientifico bisognosi  di essere metabolizzati nel loro pieno spessore storico-concettuale come ha fatto Giorgio Derossi; ma non abbiamo altra scelta se non rafforzare le nostre difese immunitarie nel fare nostra  la loro intrinseca portata veritativa in quanto, come avvertiva lucidamente Simone Weil, più si conosce più si diventa responsabili nei confronti del reale con le sue logiche complesse da ‘Orfeo che vive’  e reciprocanti nel senso avanzato dalle pagine de L’intravisibile.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.

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