Un volume a cura di Luciano Violante, Pietrangelo Buttafuoco e Emiliana Mannese
Abituati come siamo a vivere il presente con i suoi problemi sempre più cogenti ed invasivi che non sembrano lasciar spazio ad altri pur necessari momenti vitali, da più parti si sente il bisogno di allargare i nostri orizzonti in ogni campo anche perché siamo entrati, a dirla con Erle Christoper Ellis, nell’era dell’Antropocene; tale periodo, oggetto di diversi dibattiti in corso a livello internazionale per verificarne gli effetti e definirlo tale, è caratterizzato dalla forte presenza dell’uomo vera e propria ‘forza della natura’, sempre più teso ad uniformare la natura in base ai propri bisogni che se non bene indirizzati possono portare a effetti disastrosi. Per questo si presenta come un “periodo di tempo riflessivo” che impone a diversi livelli di interrogarci su tale stato di cose, su come interagiamo con la natura e come ne facciamo parte, in che modo operiamo e a ridefinire ‘il posto dell’uomo nella natura’ con il conseguente problema del loro comune ‘avvenire’; questo cruciale problema era al centro delle attenzioni già nella prima metà del secolo scorso da parte del bio-paleontologo e teologo Pierre Teilhard de Chardin grazie al suo modo di interrogare la teoria dell’evoluzione, figura non a caso tra le fonti dell’Enciclica Laudato si’ per aver dato voce ai diversi ‘strazi della materia’ e per aver parlato della necessità di una nuova era, la ‘noosfera’ dove l’uomo è chiamato ad assumere le sue responsabilità nei confronti del mondo. Non è un caso dunque che di fronte alle sfide planetarie che ci attendono da più parti si avverte più che mai il bisogno di lavorare a mettere in atto in ogni contesto delle “Comunità Pensanti”, come recita il titolo del volume Pedagogia e politica. Costruire comunità pensanti, a cura di Luciano Violante, Pietrangelo Buttafuoco e Emiliana Mannese (Lecce, Pensa Multimedia Ed., 2021).
Tutti i contributori di tale volume, pur provenendo da ambiti culturali e politici diversi, sottolineano la necessità insieme teoretica ed esistenziale di ricostruire il rapporto stretto tra la pedagogia e la politica, del resto presente in modo costitutivo sin dal mondo greco, messo in crisi dai processi di globalizzazione col mettere in moto nuove dinamiche non riconducibili a schemi prefissati come nel passato e dall’attuale pandemia che hanno avuto come esito quello che Luciano Violante chiama “effetti di scomposizione delle comunità e di moltiplicazione delle solitudini”; e per ripristinare su nuove basi “l’intreccio tra educazione e politica” e “per vivere bene il presente e costruire il futuro” è ritenuto strategico “riannodare le fila del rapporto con l’altro e con la comunità” con il necessario “avere cura dei pensieri e della facoltà di giudizio”, operazione fondamentale per evitare di “formare gli ‘uomini del momento’ (Chateaubriand) e ‘i servitori della moda’ (Nietzsche)”. E contro i pericoli vari rappresentati dal presentismo o ‘momentismo’ e mode varie, di cui sono intrisi per lo più i Social veri e propri canali ideologici anche se appaiono neutrali, non a caso viene invocato il pensiero complesso come strategia insieme teorica ed esistenziale per disinfettarci (La complessità come disinfettante, Odysseo 27 agosto 2020); esso è ritenuto strumento indispensabile per ‘governare ed educare’ l’oggi, come suggeriscono nel loro contributo Mauro Ceruti e Francesco Bellusci che, insieme a Luciano Violante, insistono sulla stretta interrelazione tra il “destino del mondo” e il “destino politico” e che l’uno dipende più che mai dall’altro.
Così sia la politica e che la pedagogia vengono considerate dei percorsi che, pur nella rispettiva autonomia, per il fatto che non si trasmettono con le leggi ma con “la prassi, i comportamenti” come sottolinea Violante, stanno sempre più metabolizzando la coscienza”delle connessioni profonde tra tutto l’esistente” e delle “interdipendenze che oggi legano strettamente ogni essere vivente all’altro essere vivente e all’intero pianeta”. Ma questo non facile e a volte doloroso processo richiede, per parafrasare Gaston Bachelard, uomini ‘anabattisti’, cioè uomini che, avendo vissuto sulla propria pelle il fallimento sistematico degli unilateralismi forgiati da certa modernità, se ne liberano criticamente educandosi ad aprire la strada ad un pensiero dinamico proiettato “verso il futuro, ad un futuro continuo” fondato sulle “interdipendenze dei saperi, ai cambiamenti sociali”. Solo col forgiare in tal modo sia chi opera in campo educativo e sia chi opera a livello politico ed in ogni altro ambito del sociale, si possono gettare le basi di comunità pensanti più in grado di vivere in maniera autentica lo spirito democratico basato sull’”equilibrio fra diritti e doveri” a loro volta interdipendenti come sottolinea Violante, fatto già evidenziato da Simone Weil in L’enracinement, sua ultima opera meritoriamente fatta tradurre da Adriano Olivetti già negli anni ’50, per ricostruire in senso comunitario l’Europa dopo le macerie del secondo conflitto mondiale.
I diversi contributi presenti nel volume insistono sulle diverse modalità che storicamente hanno permesso l’intreccio tra educazione e politica a partire dal mondo greco e sulla necessità del loro cambiamento nel XXI secolo a partire da quella che viene chiamata da parte di Mario Caligiuri ‘pedagogia della nazione’, ritenuta una riforma strutturale del sistema Italia e improcrastinabile a cento anni dalla riforma Gentile per rifarne il tessuto morale e superare le nuove disuguaglianze dovute alle disparità cognitive e al knowldge gap, come lo chiama Carlo Carboni nel suo contributo, con l’avvento della cosiddetta società della conoscenza dove paradossalmente la disinformazione sui social si propaga sei volte più velocemente di quella buona informazione col “provocare un’ignoranza intenzionalmente indotta”, come recenti ricerche hanno evidenziato. Per contrastare tale fenomeno che “ostacola di fatto l’insorgenza di una nuova consapevolezza sociale” della “interdipendenza della condizione umana”, è necessario che l’azione politica o meglio i politici si innalzino “al livello di questa complessità” con allontanare “l’appeal della semplificazione” ed ogni tentazione di “trovare soluzioni preconfezionate in anticipo”, come affermano Mauro Ceruti e Francesco Bellusci, in quanto l’umanità intera sta “sperimentando a livello planetario una condizione di estrema vulnerabilità a dispetto dell’eccezionale livello di potenza tecnologica raggiunto”.
Uomini con la vocazione politica ed educatori di ogni livello sono invitati, pertanto, a “riformare il pensiero” e a “superare il paradigma tecnocratico” che non è sufficiente da solo a garantire il progresso sociale e i livelli di democraticità raggiunti col rimettere al centro “la partecipazione politica, la passione di tutti per gli affari comuni”, i “pilastri dell’interdisciplinarità e dello spirito critico di cittadinanza” dove tutti sono invitati a ”imparare ad imparare”, compresi gli stessi esperti, per Ceruti e Bellusci che fanno loro l’appello di Isabelle Stengers ad individuare i rispettivi ‘co-esperti’ e a confrontarsi col ‘senso comune’. Per questo è ritenuto doveroso lavorare a costituire delle comunità pensanti che fanno della ragione aperta, come la chiamava Gaston Bachelard, il loro punto di partenza per “agevolare l’avvento dell’uomo planetario” nel senso già avanzato da Ernesto Balducci, e promuovere una “intelligenza della complessità” per far fronte alla “prima malattia dell’Antropocene” bisognosa più che mai dell’apporto dei vari saperi per essere affrontata adeguatamente a partire dalla conoscenza della storia che ha portato l’umanità all’era planetaria, come ha sostenuto Ceruti in diversi lavori
Il virus che ci circonda per le sue intrinseche capacità di evolvere, di mutare e che sta rendendo “più tortuoso e fallibile il lavoro della ricerca scientifica”, costituisce per Ceruti e Bellusci una sorta di experimentum crucis in questo momento storico per l’intera umanità, quasi una risorsa cognitiva “da cui partire per comprendere a scuola come sia necessario interrogare il nostro modo di guardare il mondo e le cose” e soprattutto “conoscere i principi organizzatori della conoscenza”; le comunità pensanti sia in campo educativo che in campo politico hanno, pertanto, l’obbligo di rivedere i propri principi, di disinfettarli dal virus dell’onniscienza e di educare ad uno dei compiti più difficili, cioè quello di prendere atto dei “limiti” della nostra mente dove il “forgiare una mente complessa che problematizza se stessa” non deve apparire una umiliazione gnoseologica, ma lo sforzo teso ad inserire “ogni conoscenza nel suo contesto e nel suo insieme”. In tal modo le comunità pensanti sono più in grado di capire che “oggi, il contesto di ogni conoscenza politica, economica, antropologica, ecologica è il mondo stesso”. Per questo ogni politica educativa dell’era digitale e planetaria deve essere “inquadrata in questa cornice umanistica: umanesimo della cura e umanesimo planetario” dove l’engagement di ogni operatore, il suo “punto archimedeo”, deve consistere nel “legare le conoscenze, per affrontare un mondo complesso e per legarci ancora più consapevolmente, solidalmente e creativamente in un destino comune”.
Così oggi, più che mai, siamo invitati in ogni luogo ed occasione come comunità pensanti ad interpretare l’hegeliano Zeitgeist o spirito del nostro tempo, cioè a pensare il nostro tempo con concetti per orientarci meglio nella sua complessità e per non lasciarci travolgere dai processi di semplificazione messi in atto da più parti che trovano spazio quando si tralascia l’onesto mestiere del pensare o fatica del pensare; e per questo, come invita una curatrice del volume Pedagogia e Politica, Emiliana Mannese, bisogna lavorare ad “immaginare paradigmi formativi opportuni per affrontare lo Zeitgeist” nelle sue diverse articolazioni ed evitare di fare delle scelte, come nel passato, che da “pietre angolari del Sistema-Mondo fondate su valori e idee” sono “poi divenute ideologie” sempre pronte a incunearsi in menti non forgiate dallo spirito della complessità.