Se i devoti si riconoscono da gesti esterni di religiosità, i credenti si riconoscono dalla loro vita

Mai come oggi bisognerebbe ridare valore alle parole. Si confonde il bene con il benessere, la bontà con il buonismo, il vero dall’apparente. Una distinzione da fare, in campo spirituale, che non di rado manca di chiarezza è quella tra i devoti ed i credenti. Esistono milioni di devoti che, per il solo fatto di essere tali, presumono di essere credenti. I devoti li si riconosce da una serie di gesti non verbali, frutto di tradizioni popolari, dietro i quali vi sono radici autenticamente evangeliche. Le devozioni hanno mantenuto, in molti luoghi, la radice cristiana ma quando, per taluni, smarriscono la radice evangelica, non c’è più il credente ma solo una persona religiosa.

La devozione ha vari volti, quanti possono essere i modi di percepire una fede. In tante devozioni si proiettano paure ed angosce, cercandovi in esse certezze interiori che liberino da responsabilità personali. In tante devozioni si cerca lo spirituale per sentirsi elevati dagli altri, tanto da giudicare tutti e tutto. Tanti devoti hanno veleno sulla lingua, violenza nei gesti e parole di lode nelle preghiere. I devoti fanno le preghiere, i credenti vivono la preghiera nel loro spirito. I credenti vivono un incontro personale nella preghiera, attraverso il quale si riscoprono piccoli, dinanzi all’infinito, profondamente limitati di fronte all’eterno. I credenti non giudicano perché sanno che il giudizio appartiene all’Altissimo, non si sentono migliori, perché coscienti di appartenere ad una fraternità universale.

Se i devoti si riconoscono da gesti esterni di religiosità, i credenti si riconoscono dalla loro vita. I credenti non hanno bisogno di gesti di religiosità o parole, a parlare è la loro vita. I devoti si fanno sapienti di cose religiose, i credenti portano la sapienza della religione con una vita scolpita d’amore. I devoti fanno soffrire anche usando il linguaggio della religione, i credenti offrono in sacrificio la loro vita generando consolazione. Se i devoti giudicano, i credenti usano misericordia. I credenti condannano il male, ma sanno guardare negli erranti i segni delle loro stesse fragilità. I devoti guardano il passato e il male, i credenti vivono di speranza, facendo memoria di ciò che è stato. Il devoto parla di peccato, il credente di perdono. Il devoto soffoca la fiducia in sé stessi mentre il credente sa portare un nuovo respiro. Il devoto è sicuro, chiuso in sé stesso mentre il credente è solidale, costruendo la solidità uscendo dalle sue sicurezze.

Il devoto è bigotto mentre il credente è aperto. Il devoto va dietro al “si è sempre fatto”, il credente si rinnova alla luce dei segni dei tempi. Sana cosa è la devozione, ma senza discernimento si scade nel devozionismo. Per alcuni i devoti conta più una pratica popolare che la domenica, il giorno del Signore. Per il credente si deve essere pronti a morire per testimoniare il giorno della resurrezione. Il devoto crede di avere dei meriti, il credente sa che la salvezza è esclusivamente dono. Non esistono devoti e credenti nettamente separati, ma possono esserci devoti sostanzialmente atei, nel senso di essere dei praticoni religiosi senza Dio. La devozione è sostegno alla fede autentica, mai sostituzione. Bisogna diventare dunque devoti al Vangelo.

Tutto ciò che è antievangelico non è pura devozione ma inganno, è strumento a servizio dell’uomo contro l’umanità. Il credente è schierato con l’uomo. La negazione del vangelo, attraverso le devozioni, è negazione stessa della fede e tradimento della radice evangelica a cui la devozione dovrebbe fare riferimento. Chi giudica non crede. Chi odia non crede. Chi si sente migliore non crede. Se alcuni vivono la devozione per rendere Dio a propria immagine e somiglianza, il credente sa che l’uomo è chiamato a realizzare con la propria somiglianza l’immagine che Dio ha impresso nel suo spirito. Saremo giudicati sull’amore perché Dio è Amore. Potrebbe mai esistere dunque autentica devozione senza amore? Il credente, se veramente tale, ama.


2 COMMENTI

  1. Tanti devoti e pochi credenti.
    Il devoto è chi in chiesa si batte il petto, bacia i santini, segue tutte le processioni e le devozioni, si inchina fino a prostrarsi e nella vita è intollerante, indifferente, tace di fronte all’iniquità e all’ingiustizia.
    Il devoto è maestro di se stesso, mentre il credente cerca il Maestro e la sua Parola
    “Il discepolo non è di più del maestro, ma il discepolo ben preparato sarà come il maestro” (Luca 6,40). Gesù Cristo è il Maestro. Non il professore. Il maestro non dà lezioni, vive con i discepoli. La sua materia è lui stesso, la sua testimonianza di vita. Il maestro è il modello o l’esempio da seguire.
    Il Maestro non punisce, educa.
    Il Maestro non impone, propone.
    Il Maestro non s-parla, ascolta.
    Il Maestro non vuole bene, ama.
    Il Maestro non siede, è in mezzo.
    Il Maestro è Padre che diventa Figlio è Figlio che diventa Padre perché Ama fino in fondo e alla fine.
    Il Maestro è: Io Sono con te e per te fino alla fine.
    I cristiani-devoti non saranno mai credibili se non credono nella Parola e alla Parola: «Chi ci crede ? Non siamo credibili, se non siamo credenti. E credere significa abbandonarsi a Cristo. Ma ‘si alzò da tavola’ significa anche che non basta stare in chiesa, bisogna uscire fuori. Sembra che quasi il Signore ci dica: ‘Non bastano i vostri bei canti liturgici, i vostri abbracci di pace, i vostri amen, i vostri percuotimenti di petto: che aspettate ? Alzatevi da tavola; restate troppo tempo seduti. È un cristianesimo troppo sedentario il vostro, troppo assopito, un tantino sonnolento’». (don Tonino Bello, vescovo da: La Chiesa del grembiule).

  2. Vero ciò che dice l’articolo. I devoti mettono il santo che hanno scelto come riferimento, prima di Gesù e di Nostro Signore. Non concepiscono un cammino di fede “prendendo” da ciò che ci hanno lasciato le diverse testimonianze dei santi (si fissano su uno!) soprattutto, dalle Sacre Scritture.
    Perpetuano una religiosità medioevale, non capendo che alcuni tipi di messaggi dal Divino, aderivano all’epoca del mistico a cui si rivolgevano. Ciò non significa cambiare la fede in base le “mode dell’epoca del momento”. Il bene è bene, il male è male, dalla notte dei tempi fino ad oggi è sará così per sempre. Però, le diverse sensibilità cambiano grazie alla coscienza collettiva che segue il percorso evolutivo della società.

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