Si chiama gentilezza e non c’entra nulla con il buonismo
L’escalation di cattivismo online e offline ha reso urgente una rivoluzione culturale nella comunicazione. Non si tratta di comunicazione allo zucchero filato, stile famiglia del Mulino Bianco o buongiornismo su Whatsapp. L’atteggiamento dell’ecologia delle parole serve a creare relazioni, che possano approdare a un miglioramento del mondo o di una parte di esso. La regola principale parte dal rispetto per il nostro interlocutore. Si ragiona. I dialoganti hanno la stessa dignità. E il presupposto consiste nell’iniziare una discussione con la prospettiva di poter dare un apporto. Parto con un livello di conoscenza.
Alla fine, ne so di più. Questo non significa prodursi in sdolcinatezze e neanche soprassedere su errori o fraintendimenti. L’obiettivo è la chiarezza delle posizioni. Ma se parto dalla convinzione che sono portatore di verità e che l’altro debba essere riallineato alla mia visione del mondo o sbugiardato o, peggio, offeso anche se ha ragione si cadrà in numerose fallacie logiche. La più utilizzata è l’argumentum ad hominem. Combattere una persona senza discutere di contenuti. In questa situazione, non si distingue la persona dalle sue idee, ma la si attacca solo per ottenere consenso senza preoccuparsi della verità e della correttezza logica delle posizioni espresse.
Talk show e profili si trasformano in ring. L’esito della disputa non è sul modello win-win, ma neanche evidenza di ragione e torto.
Il buongiornismo e il buonismo sono diversi dalla gentilezza. Talvolta, però, la nostra disposizione d’animo positiva verso gli altri diventa carne da macello nella realtà globale. Si viene strumentalizzati per essere accusati di ipocrisia. Siamo al paradosso per il quale la scelta di intervenire in una discussione rispettando gli altri o mostrando attenzione alla persona venga bollata come “buonismo del cazzo”. Oppure si arriva a dire “sei troppo buono!” quasi si fosse commesso un reato. Bontà e buonismo vengono utilizzati come pretesto per scatenare il cattivismo. I sostenitori di questo approccio giustificano la violenza linguistica, talvolta propedeutica a quella fisica, sulla base di un doppiogiochismo o di un raggiro insito in termini della comunicazione non violenta. Meglio dire le cose come stanno. Se poi umilio o ferisco un essere umano come me, chissenefrega. E non sempre questo stile è così diretto come si vorrebbe far credere. Certa ironia o la definizione di “supercazzola” attribuita a qualsiasi discorso che affronti un argomento con più di 5 parole picchia con percorsi non sempre chiari. Ma fa male.
È preoccupante il fenomeno delle discussioni in rete. Le dispute su diversi argomenti, dai più seri ai più futili, si trasformano in risse da saloon. Unica preoccupazione: prevalere sull’avversario. Per farlo si utilizza qualsiasi mezzo. Soprattutto si perde di vista l’oggetto del discorso o qualsiasi tentativo di ricerca della verità. L’affermazione dell’ego è il mindset prevalente. Sono state avviate campagne informative per cercare di stabilire alcune regole con la finalità di migliorare qualità e clima delle discussioni. La più nota è ParoleOstili.
Nella società contemporanea è fondamentale avere “cittadini capaci di discutere”. Bruno Mastroianni è chiaro: non bisogna evitare i conflitti, ma affrontarli con onestà intellettuale. L’autore dei libri “La disputa felice”, edito da Franco Cesati, e, insieme alla sociolinguista Vera Gheno, “Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello” per Longanesi, ricorda che il problema del conflitto cognitivo nasce fin dall’antichità. Internet e i social lo hanno solo amplificato.
E non è detto che sia un male. L’autore, inoltre, evidenzia alcune fallacie logiche. L’argumentum ad hominem, l’argomento fantoccio, la semplificazione, la banalizzazione, la ridicolizzazione sono alcuni meccanismi che puntano soltanto a screditare l’avversario. Mastroianni invita a riportare l’attenzione sui contenuti, mirando a una civile discussione fra diversi punti di vista con intento costruttivo. Niente pensiero unico o ricerca di un terreno comune in una ideale convivenza da irenismo spicciolo. Bisogna praticare uno stile di “convivialità delle differenze” (ho ceduto anch’io alla tentazione del buonismo citazionista).
Quindi, mandatemi un buongiorno con una bella gif (magari evitando rosari o date controverse di illustri compleanni) e vi risponderò che vi voglio bene. E non è buonismo!