di Madeline Miller
Circe, seduttrice abile e furba, è conosciuta soprattutto per la sua presenza nell’Odissea. La temuta maga nella ricostruzione della Miller seppur fedele al mito greco, si rivela come una creatura unica dalle mille sfaccettature.
Nel racconto Circe ci narra, in prima persona, la sua storia caratterizzata fin da bambina da crudeltà e ferocia degli dei mostrandoci, così, i retroscena e i motivi che l’hanno portata a diventare la maga che incontriamo nell’Odissea.
Una dea che è costantemente in bilico tra il divino e l’umano da cui comunque si sente attratta. Una dea che pagina dopo pagina sentiamo sempre più vicina imparando ad empatizzare con le sue sofferenze: la freddezza dei familiari, la violenza subita:
“Il luogo dove io dimoravo davvero, una fredda eternità di dolore senza fine”; l’isolamento, la solitudine, la mancanza d’affetto e la perdita del proprio amore:
“In un’esistenza solitaria, sono rari i momenti in cui un’altra anima si fonde con la tua, così come le stelle sfiorano la terra una volta all’anno. Una tale costellazione era stato lui per me.”
Circe diventa così ognuna di noi perché attraverso le sue mille sfaccettature in lei troviamo una parte di noi, una parte dei nostri demoni, delle nostre paure e fragilità.
Per questo l’emozione principale che mi ha accompagnata per tutto il libro è la tenerezza, per lei e per quella me che trovavo in lei.
Un libro che si fa molta fatica a lasciare andare perché Circe con la sua spontaneità e il suo cuore tenero nonostante tutto è lì a tenderci la mano e ad indicarci come trovare una grande forza interiore per superare qualunque sofferenza; una sorella maggiore che con il suo esempio ci spinge a trovare sempre il buono nelle cose per vivere in pienezza senza dover mai tradire la nostra vera essenza.
Circe una donna di oggi, grandiosa nella sua estrema portentosa fragilità:
“Per un centinaio di generazioni avevo abitato la terra assopita e apatica, inattiva, e comoda. Senza lasciare traccia, senza compiere gesta. Anche quelli che un po’ mi avevano amato non si erano dati la pena di restare. Poi appresi che potevo piegare il mondo al mio volere, come si tende un arco per la freccia”.