
19 anni e la vacanza premio per la maturità appena conseguita. 19 anni e un quad impazzito che le si è rovesciato addosso.
È morta così Lavinia Mazzanti.
Bellissima, con un sorriso dolce e la gioia di vivere che, nelle immagini che la ritraggono, le sprizzava da tutti i pori.
L’isola di Kos, teatro di una novella tragedia greca, con la sua trionfante magnificenza rende ancora più drammatica la sua fine.
Perché, canta De Andrè, a “crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio”. E a morire d’estate, a neanche vent’anni, quando sei in vacanza coi tuoi amici, in un posto incantevole come l’isola di Kos, è un dramma che non trova parole, è tragedia senza catarsi.
Non è questo il momento di trarre alcuna morale. Non si ha voglia di introdurre alcuna riflessione su come i nostri ragazzi amino oggi vivere e divertirsi. Non si intende avviare nessun discorso con il più classico dei: “Ai miei tempi…”
Si ha voglia di piangere. In silenzio. Perché non è giusto. Perché non può finire così. Perché non si hanno, ancora una volta, parole, ma solo “qualche storta sillaba e secca come un ramo”, come insegna Montale.
Chissà cosa avrebbe scritto lui, in un’occasione simile. Lui che ha attraversato la sua esistenza alla ricerca di un varco, lungo una muraglia con in “cima cocci aguzzi di bottiglia”: gli stessi su cui ora ci feriamo ora noi. Noi che, alla ricerca di un senso, il varco ci siamo stancati di attenderlo e vorremmo “forzare l’aurora a nascere”, come predicava don Tonino Bello.
Ci limitiamo così a dirti: “Ciao, Lavinia”.
Ovunque tu ti trovi, se ci senti, stai vicino ai tuoi cari, che ora vivono la lacerazione, e magari veglia un po’ anche sui tuoi amici, sui nostri ragazzi.
Perchè di tragedie siamo proprio stanchi e ci piacerebbe tornare a sorridere.