Rispondere è svelamento

Si dice che la capacità di chiedere sia commisurata alla dose di ascolto e alla prontezza di intervento, anche come semplice presenza, di chi ci è stato di fronte nei momenti cruciali della vita, nell’infanzia in particolare. In altre parole, non saper chiedere, aver paura di chiedere, farsi mille problemi prima di chiedere, sono i segni che qualcuno di molto importante ci ha trascurato, magari senza volerlo, forse senza saperlo.

Insomma, chi ha difficoltà nell’esprimere una richiesta ritiene, anche inconsciamente, che i suoi bisogni non valgano poi granché. Eppure, tra il bianco e il nero un mondo di sfumature sgretola, come sempre, qualsiasi facile aut aut. Sì, perché a volte non si chiede per vergogna, per timidezza estrema. O semplicemente perché ci si aspetta, in fondo, di essere anticipati, di essere compresi. Non su tutto, è ovvio; ma su qualcosa si.

Poche cose sono belle come quelle ricevute senza essere state chieste. Tranne i consigli: quelli appartengono a una categoria a parte. Ma essere anticipati su certi bisogni e desideri fa sperimentare un livello di umanità squisitamente rara. E questo da gioia e speranza. La stessa gioia e la stessa speranza sottratte da un’aspettativa delusa, perché a volte non ci si aspetta di dover elemosinare cose davvero scontate. Una telefonata in più in un periodo difficile. Un “come stai”, o un “stai facendo del tuo meglio”, al limite un “va tutto bene” nei giorni più neri. Uno, due, tre, dieci passi da chi la tua attuale situazione l’ha vissuta in precedenza, dunque può capirla. No, ci sono cose che non vanno elemosinate e nemmeno chieste. È questione di empatia, di sapere nella carne cosa l’altro sta cercando senza osare chiedere.

La collega che quest’anno si occupa di organizzare l’orario a scuola ne è convinta: i suoi figli adesso sono grandi, ma lei non dimentica cosa significa crescerseli da sola al nord, lontana da tutto e da tutti. Per cui, senza che io abbia chiesto nulla, mi ha cucito addosso un orario su misura, il migliore del mondo. «Ma come facevi a sapere che ero in difficoltà? Non ne abbiamo parlato» «Non ce n’è bisogno: io so come stai, come state». Ecco, se dovessi scegliere un’icona di umanesimo di questi primi nove, fatidici, faticosissimi mesi da mamma, sceglierei lei.

La radice di “chiedere” è kas-, la stessa di desiderare e cercare. Ma c’è chi collega il termine anche a fiedere, cioè “ferire”. Ed è vero: a volte chiediamo e feriamo, perché magari l’altro percepisce pretesa e offesa. Allora finisce che non chiediamo più, per non ferire, disturbare, importunare. Altre volte ancora non chiediamo perché ci sentiamo feriti dal dover pretendere cose ovvie e dal fatto che chi dice di amarci non ci arriva da solo, non ci anticipa, non ci stupisce. Ma tutte le volte che, pur non chiedendo, riceviamo, la delicatezza potente di questo miracolo cura tutto in una volta ferite vecchie e nuove.

Dovremmo provarci di più: intercettare i desideri di chi ci sta di fronte e provare ad anticiparli. Non sempre, ogni tanto. Piccole dosi di empatia. Il tempo di immettere in circolo un po’ di relazioni sane, che ce n’è tanto bisogno.

“Bisogna muoversi come ospiti pieni di premure, con delicate attenzioni per non disturbare”: aveva ragione Battiato. E se “in certi sguardi si nasconde l’infinito”, in certi gesti si svela del tutto.


FonteFoto di Camylla Battani su Unsplash
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Sono un'insegnante, anche se il più delle volte sono io quella in-segnata dai miei studenti. Sono una ricercatrice, perché cerco piste di rilevanza pubblica per una materia troppo fraintesa e troppo di nicchia: la teologia. Sono una giornalista e faccio cose con le parole. "Quello che non ho è quel che non mi manca" (F. De André) e sono immensamente grata alla vita perché, non senza impegno e sacrificio, "ho trovato amore nel mezzo de la via, in abito legger di peregrino" (Dante Alighieri, Vita nova)