Quando è troppo, è troppo!
Chi scrive crede nella Democrazia, nel Bene Comune e nella Giustizia.
Chi scrive tuttavia deve aprire questo articolo con parole dure: l’Italia è anche ipocrita è puttana. E alludo ai diritti costituzionali negati o riconosciuti per carenze burocratiche in ritardo: fatti di cronaca inerenti la richiesta di suicidio assistito da parte di un essere umano costretto all’immobilità da una malattia, lo ricordano.
E alludo a tutti coloro che affidano la propria istruzione e cultura a dei quiz inumani propinati pare per azzannare l’anima e farci credere che siamo inadeguati per certi lavori.
E alludo alla facilità con cui ogni organizzazione criminale ha potuto uccidere in 40 anni di Repubblica senza che lo Stato sospettasse e impedisse per tempo.
E alludo ai funerali che sono più dei compleanni, alle fabbriche che danno lavoro preventivando diagnosi tumorali, alle metastasi del miserrimo tornaconto politico.
Ogni singolo cittadino di questo Paese a conti fatti è un “cristo” migliore di ogni singolo politico.
Certo, in un paragone con l’immensa Democrazia Americana, ne usciremo feriti e sanguinanti per opportunità e sogni sociali e culturali: ma la Costruzione americana è una delle più guerrafondaie del mondo, si può comprare un’arma e usarla per difendere la proprietà privata dall’uomo di colore, dai messicani, dagli ispanici e portoricani e persino dall’orso Yoghi.
Tutti bersagli mobili per un popolo che ha la necessità di premere il grilletto per soddisfare le proprie frustrazioni ideologiche.
La nostra Costituzione è bellissima, è premurosa, è paterna e materna: scritta da uomini straordinari perché umili e lungimiranti.
La morte di ogni essere umano ci riporta a riconsiderare la nostra posizione sotto un cielo che ci meritiamo poco: tanto spazio per stelle e galassie ma così poco per lanciare in alto oltre il blu e le nuvole e le stelle il cuore.
Il cuore che imbottigliato e conservato sotto vuoto non sa più per cosa battere e quel battito lo compie per mera abitudine.
Tante meraviglie, tanti libri scritti in millenni, tante vite che non insegnano nulla.
Un tempo si accendevano fuochi e uno accanto all’altro si era difesa e conforto.
È bastata una epidemia da COVID per infrangere lo specchio che ci rifletteva egoisticamente felici e dietro l’unica minaccia che temiamo, la morte, ci siamo scoperti cattivi con bravura, spietati. Perché abbiamo compreso terrorizzati che non solo un’arma può uccidere, che per un virus piccolo e invisibile non esiste un’arte marziale da difesa e attacco.
Io resto seduto accanto a Oscar Wilde, a Brecht, a Eduardo, a Pasolini, a Gaber, a De André, a Peppino Impastato, a Falcone e Borsellino, a Rosario Angelo Livatino, a Giuseppe Pinelli, a Luigi Calabresi, a Carlo Alberto Dalla Chiesa, a Moro, a Walter Tobagi, a Paolo Villaggio, a Vittorio Gassman, ad Alberto Sordi, ad Andrea Pazienza, ai passeggeri del volo per Ustica e delle stragi in piazza.
E a tutti i servitori dello Stato e ai morti annegati nel mare freddo. Ne dimentico tanti e chiedo scusa.
Io preferisco essere alla loro tavola assieme a Moana Pozzi che mi sorride e mi ricorda la potenza della libertà e della bellezza e dell’intelligenza: lei è meglio di tanti altri ed è così tanta da scandalizzare la noiosa normalità.
Tutto il resto è in ombra e non mi serve luce perché l’ombra è l’armadio in cui è giusto che sia rinchiuso il nulla.