Francesco oggi mette i cristiani, credenti o tiepidi, davanti a un’immagine che segna il discrimine: stare con i torturatori o con i torturati

Caro Direttore,
grazie a papa Francesco e ad “Avvenire”, giornale dei vescovi, crolla il castello della “pacchia” di Salvini e complici. Guardare le immagini di uomini torturati nei lager libici non è una passeggiata di salute, ma farà bene agli uomini di buona volontà. Sono esseri umani fuggiti dalla miseria e respinti dalla nostra civiltà europea e cristiana. Se siete deboli di stomaco, armatevi di coraggio e guardate quegli uomini massacrati senza ragione, tanti poveri Cristi con la maiuscola. Fra loro ci sarà anche qualche poco di buono, come nel resto del mondo, ma sono uomini torturati per il solo fatto di aver cercato scampo a una sorte disgraziata, a un destino nemico.
Sono i “palestrati” di Salvini e dei suoi accoliti. Quelli della “pacchia”.
Papa Francesco ha dato uno schiaffo al mondo, agli egoisti, ai sovranisti, ai razzisti, ai fascisti, ai pavidi. Gli stessi che, dentro e fuori la Curia, lo accerchiano per spaventarlo, per costringerlo alla resa. Ma per fortuna, lo spirito gesuita, l’esempio del combattente Ignazio di Loyola lo sorreggono nella lucidità e nella missione. Missione oggi assai difficile, vista la decadenza dei valori cristiani e le peripezie della Chiesa, dove l’Anticristo sembra prendere il sopravvento.
Francesco oggi mette i cristiani, credenti o tiepidi, davanti a un’immagine che segna il discrimine: stare con i torturatori o con i torturati. Sulla vita degli esseri umani non ci possono essere titubanze per un cristiano, altro che comunione ai divorziati o matrimoni gay. Qui c’è l’uomo davanti alla vita, per merito della carità, o alla morte, per colpa del cinismo dilagante. Non si sfugge, non c’è dibattito possibile, non c’è lana caprina per nessuno.
Gli uomini di buona volontà sono consapevoli che la soluzione ai grandi problemi del mondo di oggi non è semplice. Ma hanno il dovere di cercarla, la soluzione, quando sono in gioco vite e non carne da macello.

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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).