«Ho sbagliato tante volte nella vita, chissà quante volte ancora sbaglierò.

In questa piccola parentesi infinita quante volte ho chiesto scusa e quante no.

È una corsa che decide la sua meta, quanti ricordi che si lasciano per strada.

Quante volte ho rovesciato la clessidra…

Questo tempo non è sabbia ma è la vita che passa, che passa…»

(Fiorella Mannoia)

 

Che sia benedetta.

Una preghiera meravigliosa, insolita, particolare eppure ugualmente intensa, una singolare omelia, semplice e significativa, tenuta non dal classico ambone delle nostre chiese ma dalla prestigiosa cornice del palco dell’Ariston, capolavoro della scrittura musicale italiana, presentato al 67° Festival di Sanremo dalla sempiterna, incantevole Fiorella Mannoia.

Tutti sono rimasti incantati, fermandosi per una manciata scarsa di minuti, nell’ascoltare, commossi, il brano, riconoscendone colpiti l’innegabile verità del testo.

Parole forti, d’impatto, che hanno saputo toccare la sensibilità più intima del nostro essere, destando come un’eco lontana quel sentimento d’amore verso la nostra vita che spesso è morto e sepolto nei meandri più reconditi del nostro cuore.

«Quante volte condanniamo questa vita, illudendoci di averla già capita.

Non basta, non basta…»

È un’esperienza che tutti prima o poi facciamo, quella di lottare, di consumarsi nella battaglia contro la nostra vita. Sempre insoddisfatti, stanchi, tristi, arrabbiati, sconfitti, ci rivolgiamo ad essa ad occhi bassi, gonfi di lacrime, incolpandola di non essere mai come noi vorremmo. È un eterno trascinarla sul tavolo degli imputati con l’accusa di essere una catena di alte aspettative deluse che puntualmente lasciano l’uomo solo col dolore dell’ennesima speranza infranta.

È nostra, fa parte di noi, noi siamo la nostra vita, eppure non riusciamo in alcun modo ad accoglierla, come una madre dalla quale siamo stati generati ma che disprezziamo con ogni minima energia del nostro corpo. Guardiamo gli altri, a destra e sinistra, e in noi affiora quell’insana invidia che ci porta a credere che solo agli altri va tutto bene e che ci lascia vittime delle nostre paranoie.

In un mondo triste come il nostro, spento, dove la vita è sacrificata per un futuro incerto, dove si sceglie di morire, forse per necessità, forse per paura, dove tutto è liquefatto che non esistono più valori, più promesse, dove si uccide per poco e si inganna a cuor leggero, in una società in cui l’anormale è normale e il normale è visto con sospetto, è facile che la speranza vada sempre più perdendosi. È semplice che l’uomo, privo di riferimenti, si inserisca passivamente negli ingranaggi malati di un mondo pessimista.

Abbiamo perso la speranza, abbiamo perso la voglia di sperare, la forza di reagire e di lottare in nome di un perché.

Abbiamo perso la capacità di amare ma, soprattutto, si sono smarrite le motivazioni per amare noi stessi.

La verità è che, in fondo, non sappiamo più amarci. Non sappiamo più alzare lo sguardo e guardarci con occhi di misericordia, di perdono, di accettazione. Frustrati, non riusciamo più ad apprezzare il bello, il bene, la ricchezza delle cose semplici di cui sono costellati i nostri giorni. L’abbraccio sincero di un amico, il sorriso di un fratello, la parola di conforto di una mamma, la gioia di un papà di poter portare il pane in tavola alla sua famiglia, il gesto di carità di un volontario, la pazienza amorevole di una maestra: sono infiniti i motivi di cui essere grati alla nostra esistenza per la sua bellezza.

Quante volte malediciamo la nostra vita, la rinneghiamo: le parole di questo brano ci invitano a riaprire le braccia al nostro passato, al nostro presente e a stringerli come un vecchio amico ritrovato.

«Che sia benedetta!

Per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta.

Per quanto sembri incoerente e testarda se cadi ti aspetta.

E siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta…»

Può sembrare assurdo, un’utopia, dire che la vita è perfetta. Eppure, quando la vita la si guarda per quella che è nella sua pienezza, si arriva a capire che veramente «tutto è grazia».

È solo accettando la nostra umanità, la nostra possibilità di sbagliare, solo perdonando chi sbaglia, solo amando la persona a fianco per quella che è, solo non arrendendosi mai alla difficoltà di ogni giorno, solo non piegandoci alla logica malata e distruttiva del mondo, è solo sorridendo che potremo essere liberi, verso noi stessi, verso gli altri, verso ogni cosa.

Ci si alzerà al mattino non con la frustrazione di un nuovo giorno, ma col coraggio di rendere il mondo per quanto possibile un posto migliore.

Il coraggio non è illudersi di eliminare le difficoltà del quotidiano, ma è osare sperare, ogni giorno, é osare nell’amore.

Benediciamo questa vita, benediciamo il nostro passato, le ferite di ieri, le lacrime di oggi, benediciamo chi ci è accanto.

Allora sì che finalmente capiremo che la vita è veramente perfetta, e che abbracciandola stretta, non vorremo mai più allontanarci da lei.