Il tempo da vivere
Battisti lancia la domanda, ma non risponde direttamente: conclude solo che «questo è il tempo di vivere con te». Perché non c’è tempo senza emozioni e sentimenti e, soprattutto, senza amore: i nostri momenti sono scanditi dalla sua presenza o dalla sua assenza.
Per questo alla fine di un anno, più che ai bilanci e ai pentimenti struggenti circa il passato, più che ai programmi e agli impegni per il futuro, occorre gioire per gli amori del presente. E magari cercare qualcuno con cui piangere quelli perduti e sognare quelli a venire. Augurare “buon anno” deve significare: «ti auguro ancora tanto tempo per amare, ovunque tu sia e comunque tu stia».
Chissà se i nostri auguri sono proprio così. Nei giorni scorsi leggevo messaggi natalizi imbarazzanti: diverse bacheche facebook sono diventate social-pulpiti dai quali attaccare l’ipocrisia natalizia. Degli altri. E anche l’incoerenza e la finzione. Degli altri. E pure questa società consumistica. O queste famiglie troppo impegnate a mangiare e poco a pregare. Queste famiglie riunite dopo mesi di lontananze e sacrifici, segnate da sofferenze inimmaginabili e da piccole, grandi soddisfazioni, cementate dai gesti di cura di mamme per le quali cucinare una pietanza è e resterà per sempre un’altissima forma di preghiera.
«Dove c’è rigidità, si cela qualche squilibrio», dice papa Francesco. È vero: queste raffiche di disagio testimoniano, semplicemente, poco amore. A queste persone occorre augurare “buon anno” con una carezza in più: ne hanno bisogno per far pace con la complessità della vita, ma soprattutto con la fragilità, combattuta negli altri come il peggiore dei mali e non accolta in se medesimi come la più grande delle opportunità.
Anno è una parola difficile: qualcuno la riconduce alla radice sanscrita am, che richiama l’idea stessa del tempo; altri la riconducono alla radice amb, ossia “intorno”; e poi c’è chi la collega alla radice ak, che significa “piegare”.
Un anno può essere vissuto esattamente in questi tre modi. Da piegati, da vittime del tempo che passa, dei tempi in rapido mutamento. Piegati nelle mancanze e ciechi su insospettabili ricchezze possedute. Piegati dalla pretesa asfissiante e continua di giustizia in un “mondo di ladri”. Piegati dal pessimismo e dalla tristezza cronica di chi ha bisogno di almeno un pretesto al giorno per lamentarsi.
Un anno può essere vissuto girando continuamente a vuoto attorno alle cose, nella noia e nella ripetitività, e alle parole, nell’autogiustificazione e nell’impietosa condanna degli altri; nella corsa ostinata in mille cose che ci riportano sempre, drammaticamente al punto di partenza; nella ripetitività di stili di vita nei quali ci sentiamo al sicuro, ma invecchiamo nella misura in cui non cambiamo. Mentre accanto a noi i più prossimi attendono, oltre che un’alternativa ai parolai, la nostra guarigione da questi circoli molto meno virtuosi di quanto immaginiamo e assai viziosi.
Un anno, infine, può essere vissuto semplicemente come tempo, con semplicità e pacificazione; cioè come spazio degli affetti, laboratorio di dispute adulte e alleanze nuove, occasione propizia per cambiare idea, possibilità di riparare e di ricreare, scuola di vita per accogliere la complessità e imparare a piangere, a ridere, a dire “scusa”, “ho sbagliato”, “oggi sei un raggio di sole”, “ti amo perché sbagli ogni giorno”. Non è tutto facile, né immediato, né scontato: è solo una via per «cieli immensi e immenso amore»; è solo un modo affinché nessuno dica, arreso, che «il coraggio di vivere quello ancora non c’è».