Un’insegnante con la “I” maiuscola di “Introvabile”

C’era una volta…

un mondo in cui non esistevano le differenze discriminanti fra gli uomini. Nessuno era uguale ad un altro, ma questo non era un problema, solo un valore aggiunto. Tutti crescevano grazie ai saperi degli altri, i legami erano paritetici e circolari e le cose funzionavano perfettamente.

C’era una volta e adesso non c’è più, verrebbe da dire.

Lo avrei detto anche io e, come di norma accade, avrei sbagliato.

Ammetto, però, che oggi vinco facile, perché oggi lo so di fatto.

Era settembre 2022 quando ho ricevuto la nomina per insegnare in diverse scuole ed in una di queste mi è stata assegnata una sola classe, una quinta elementare: questa impostazione non mi ha consentito di entrare con precisione all’interno dei meccanismi dell’Istituzione. Li ho solo annusati.

Il primo giorno mi è stata presentata la collega referente di classe, colei che ha preso con sé quei bambini da quando avevano sei anni: sono avvezza a queste dinamiche, non mi sconvolge ricevere una classe già “svezzata”.

Il fatto è che da quel primo giorno, sebbene con quella collega, dal punto di vista oggettivo, io non sia riuscita a scambiare nulla di più che fugaci saluti ai cambi ora, quello che mi aveva colpita dritta al centro dal primissimo istante era stato il suo sguardo. Non tanto per il colore azzurro quasi ghiaccio, quanto per il fatto di avere avuto la netta percezione che quegli occhi mi avessero immediatamente passata da parte a parte. Avevano capito dal primo istante chi fossi e la sensazione non è stata mai diversa a nessun cambio dell’ora.

Sono io quella che ancor oggi non ha ben capito chi sia colei che porta quello sguardo, perché deve contenere un universo troppo vasto ed arguto per essere chiuso in un cerchio semplice.

Ecco, non ho avuto modo di conoscere lei in quanto individuo, ma ho trascorso l’anno scolastico con la sua classe… e dico sua perché questa volta, per la prima volta, io a quei bambini qualcosa l’ho certamente data, ma ogni giorno in cui ero con loro, tornavo a casa con lezioni di vita che mi erano state impartite in maniera egregia.

Ed è per questo che prima di oggi non ho mai scritto nulla di loro, nemmeno quando mi è stato espressamente chiesto: mi hanno sempre lasciata senza parole. E lasciarmi senza parole non è impresa da tutti.

I primi occhi erano color ghiaccio, su una pelle bianchissima, quelli dentro la classe avevano tutti i colori immaginabili: se esiste una forma dell’eterogeneità era lì dentro. Alunni con le provenienze più disparate, con le tradizioni più diverse alle spalle, con le conoscenze di parti di mondo fra loro lontanissime che ho trovato capaci di aperture mentali ed altezze senza precedenti.

Zero esistenza del colore della pelle, del tipo di capello, di corporature più o meno esili, di passioni ics, ipsilon o zeta: ma quando dico zero, lo dico proprio come Zero Greenwich. Per quei bambini, ormai preadolescenti non c’era nulla che non riguardasse “la pancia”.

Predico da anni sull’intelligenza emotiva, scrivo da anni dell’importanza di andare di pancia e parlare a quella prima che alla testa: entrata in quella classe era tutto già pronto. Quei bambini erano come la loro insegnante: mi passavano da parte a parte e lasciavano che io facessi lo stesso. Non conoscevano diffidenza, chiusura, ritrosia: erano solo ed esclusivamente fermento puro, argento vivo, voglia di fare e stare insieme. Il disordine colorato più bello che io ricordi.

A loro ho parlato apertamente di quanto mi abbiano fatta crescere, durante il penultimo giorno di lezione e quando mi sono bloccata, sempre per l’assenza di parole per me del tutto inusuale, è partita una di loro con il suo: “Maestra, non continuare se non ci riesci. Fidati, abbiamo capito tutto” …ed era chiarissimo fosse vero e soprattutto era chiarissimo che si stessero prendendo cura di me: sapevano che da lì a un minuto avrei rischiato di piangere, me l’ hanno evitato con l’eleganza ed il saper fare che solo il cuore può conoscere.

Ecco, ho passato davvero poco tempo in questo paese delle Meraviglie, ho ricevuto abbracci potentissimi, visto lacrime realissime, ed ho ancora tante curiosità sugli occhi color ghiaccio che sono stati capaci di tirar fuori una scolaresca talmente “alta” dal punto di vista umano, il più difficile da crescere.

Chi mi conosce lo sa: in privato io di quegli occhi ho parlato diverse volte sempre dicendo che toccavano corde molto più profonde di quanto non volessero o potessero dire a voce.

Ecco, questo OltreVerso nasce oggi per questo: è stato l’ultimo giorno, nulla di quanto vi ho detto è stato diverso. Qualcuno che ha visto le immagini di questo luogo incantato, già tempo addietro ha detto: “Titolo: inclusione. Non esiste libro che possa spiegarlo meglio di queste immagini”. E allora tocca a me e voglio farlo pubblicamente: ringrazio la maestra Orsola Polieri dell’Istituto Comprensivo Balilla-Imbriani di Bari, che non è detto io incontri ancora sul cammino, per tutto quello che di lei non so, per tutto quello che di lei mi hanno raccontato i suoi occhi e che non dimenticherò, per tutto quello che mi ha consentito di imparare attraverso i nostri alunni super-eroi.

Signori miei, le scuole di insegnanti con la “I” maiuscola di “Introvabile” non ne hanno moltissime: io ho avuto la fortuna di trovarne diverse, devo proprio dirlo. Sono stata fortunata in questo (e non solo in questo). Con Orsola Polieri ho fatto uno scatto in più: i fatti non ci hanno consentito di entrare mai nel merito di quasi nulla, ma quello sguardo e quella classe resteranno indelebili nei miei ricordi e sulla mia pelle.

Sono grandi altezze: le auguro a chiunque faccia il mio mestiere e a tutti i bambini destinati a crescere con un adulto significativo. Che quell’adulto abbia quello sguardo, qualunque sia il colore dei suoi occhi: sempre.


FontePhotocredits: Miriam Arsedea Massarelli
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.

1 COMMENTO

  1. Li conosco anch’io quegli occhi, quel sorriso, quella piccola grande donna che sembra quasi sbucata da una favola… la maestra con la ‘I’ maiuscola.♥️

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