I dati del gioco d’azzardo in Italia sono preoccupanti. Oltre quelli ci sono le storie. Storie incredibili. Ne abbiamo raccolte diverse.

In Italia i numeri relativi al mondo delle scommesse e del gioco d’azzardo fanno paura. La cifra destinata dagli italiani a giochi di questo tipo – rimanendo solo fra quelli consentiti dalla legge – si aggira attorno agli 80 miliardi di euro all’anno. Su territorio nazionale ci sono 416 mila macchinette da gioco, una ogni 150 abitanti. A queste si aggiungano 50 mila video lottery, un terzo di quelle di tutto il mondo. Sparsi per il nostro paese si contano circa 13 mila centri scommesse. La regione che ne detiene in maggior numero è la Campania, seguita da Lombardia, Sicilia, Lazio e Puglia.

I numeri tuttavia, se pur impressionanti, forse non rendono in maniera efficace l’entità del dramma che il vizio di scommettere abbatte su chi ne viene colpito. A questo proposito, magari servirebbero le storie. Abbiamo chiesto di raccontarcele alle addette dei centri scommesse, per intenderci, le ragazze dietro la scrivania che materialmente fanno le puntate. Abbiamo chiesto a loro che ci passano tutto il giorno, tutti i giorni, di parlarci di un po’ di storie significative di vita vissuta in quelle sale.

«Quella delle scommesse è una malattia che prende prettamente il mondo maschile, non ce n’è donne che fanno quella fine, almeno io non ne vedo. E poi non esiste una fascia d’età precisa fra quelli che frequentano il posto. Vanno dai 18 anni ai 70 anni. Succedeva d’estate, soprattutto coi più giovani, che arrivavano la mattina al centro con costume, telo da mare, infradito, per un caffè e una giocatina veloce prima di andare al mare. Alle 19:00 io andavo via perché finivo il turno e loro erano ancora lì a scommettere. Oppure quelli che passano prima di andare a lavoro, e poi a lavoro non ci vanno più, rimangono lì tutto il giorno a giocare».

«È frequentissimo vedere scene di mogli e fidanzate che entrano disperate per recuperare i propri compagni. Oppure i figli che arrivano a prendersi i padri. Gli uomini poi, quando vedono arrivare qualcuno di famiglia si avvisano fra di loro, in modo da farsi trovare preparati. Spesso si vanno a nascondere nella zona dedicata alle slot. Non che sia una zona chiusa al pubblico, ma sicuramente è più appartata. La sala slot è la cosa peggiore. È tutta buia, solo con le luci delle macchine sparate. Si chiudono lì dentro per ore e ore e giocano l’impossibile. Escono solo per prendere altri soldi quando hanno perso quelli che avevano. Quando è il momento di chiudere vai lì a chiamarli e li trovi nell’oscurità, seduti di fronte la loro macchinetta, con gli occhiali da sole. Li usano perché dopo un po’ le luci sparate danno fastidio agli occhi».

«La questione soldi poi è un capitolo a parte. Cioè noi abbiamo accesso ai conti correnti di alcuni di loro. Sono loro stessi che ci danno password e tutti i dati per accedere. Dunque arrivano, di volta in volta ci dicono quanto trasferire sul nostro conto e diamo loro quella somma in contanti. Non devono neanche andare al bancomat a ritirarli che almeno così avrebbero un limite. Accedendo direttamente al conto è fino ad esaurimento. Le slot ti prosciugano davvero».

«Alle volte dopo averci buttato dentro centinaia di euro, arriva ora di pranzo, vengono da te e ti impongono di staccare la spina. Perché dopo che ci hai messo tanti soldi è probabile poi che la macchina paghi e quindi hanno paura che qualcun altro ci vada in loro assenza e vinca quello che spetterebbe a loro. E se non gliela spegni sono casini. Devi farlo per forza anche se sarebbe illegale».

«Se le slot stanno dietro, di solito all’ingresso, un po’ più in vista, ci sono gli schermi con le partite di calcio o le gare dei cani, tutto rigorosamente finto. Questa è una cosa che chi non frequenta questi posti non sa. Ormai scommettere sulle partite vere o le corse vere non basta più. Così ci sono i computer che inscenano queste competizioni, e la gente scommette su queste gare virtuali. Cani con nomi assurdi inventati al momento. Loro lo sanno che sono gare virtuali, eppure scommettono senza battere ciglio, fidandosi di un algoritmo progettato apposta per non sborsare mai più denaro di quanto ne raccoglie. Oppure se c’è una partita vera puoi scommettere su tutto, mica solo sul risultato. Puoi scommettere su quanti calci d’angolo ci saranno o punizioni, o sui cartellini gialli o se verrà colpita una traversa piuttosto che un palo. La regola alla fine è che tu ci rimetta sempre. Sempre. Mai visto nessuno portarsi a casa dei soldi».

«E poi ovviamente la scaramanzia regna sovrana. Se sei stata tu la cassiera che ha giocato la scommessa che gli ha fatto vincere una bella cifra, poi vengono sempre da te. A me è capitato i primi tempi che avessi passato la scheda a uno dicendogli “please”. Lui vinse una bella somma. Da quella volta pretendeva che gli dicessi “please” ogni volta che faceva una giocata. È andata bene altre 2 o 3 volte, poi chiaramente non ha funzionato più. Ha iniziato a perdere così io sono diventata “la gatta nera”, la “porta sfiga” e mi fermo qui perché altre espressioni meglio non dirle. Oppure ti accusano di sbagliare con il resto, di farlo di proposito. Diventano aggressivi, s’innervosiscono. Se ci metti qualche secondo in più a fare la loro giocata ti strattonano il mouse dicendo che è meglio se fanno da sé, che fanno più in fretta. O accartocciano le schede e te le tirano sotto dicendo di muoverti».

«Ci sono anche i romanticoni comunque. In qualche modo ci provano con noi, fanno i gelosi con gli altri dicendo “da lei non andare che è mia”. Oppure ti passano le schede e sopra ci hanno scritto il loro numero di telefono. Scene abbastanza imbarazzanti. Anche perché la maggior parte degli avventori, direi senza esagerare il 95%, è gente patologica che è lì tutti i giorni per tutto il giorno. Tanto c’è il bar, si beve, si mangia, sedie comode, tutto è pensato nei centri scommesse per trattenere la gente più a lungo possibile. Di domenica c’è qualcuno in più che ha un rapporto equilibrato con il gioco, altrimenti il baratro».

«Il nostro centro lo frequenta anche gente piuttosto conosciuta in città. O impiegati durante l’orario di lavoro. Gente in divisa, ma non dico che divisa. Vengono quelli agli arresti domiciliari, anche se non potrebbero perché pur avendo, in certi casi, delle ore in cui poter uscire di casa, non possono frequentare certi posti. Infatti a volte arriva da noi la polizia per visionare i filmati delle nostre telecamere e sgamare qualcuno. Molti risolvono mandando qualcun altro a scommettere per loro conto».

«La perdita più grossa a cui mi è capitato di assistere è stata quella di uno venuto per giocare al poker on line. Dal suo conto mi ha chiesto di ricaricare il suo credito sul sito del poker. Mi ricordo che aveva sul conto 3 mila euro. È tornato dopo aver giocato 20 minuti, mi ha chiesto di ricontrollare quanto gli rimanesse, 70 euro. Avevo vergogna anche a dirglielo. Poi ha detto “dammeli per favore, almeno vado a fare la spesa, compro i pannolini al bambino”. Non me lo scordo più».

«Ultima storia triste: noi addette alle scommesse sai quanto guadagniamo? 2 euro all’ora. Non sto scherzando. Facciamo turni da 8 ore al giorno, avendo a che fare con l’utenza di cui ti abbiamo parlato, a fine giornata portiamo a casa 16 euro. 48 ore a settimana, 6 giorni su 7».