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Ospite dell’associazione culturale Ku-Kav di Emanuela Lorusso, il criminologo foggiano Antonio Diurno ha presentato, alla presenza della moderatrice Mina Rutigliano e della chitarrista Chiara Chicco, “Cattive divise” (Augh! Edizioni), un saggio che ripercorre minuziosamente una delle vicende più oscure della storia del nostro Paese. La banda della Uno Bianca, così viene definita dal 1991, diventa una presenza costante nelle pagine nazionali della cronaca nera e un grosso rompicapo per le forze dell’ordine. Fino alla scoperta più incredibile: cinque di loro appartengono alla Polizia di Stato.

Ciao, Antonio. Perché hai scelto di scrivere “Cattive divise”?

Forse la mia è una visione un po’ troppo romantica dell’ “arte dello scrivere”, ma credo che una storia da raccontare non si scelga.

Risponde ad un’esigenza profonda che ad un certo punto del tuo percorso, senti dentro.

È un po’ come se sia lei, ad un certo punto, a decidere che sia arrivato il momento giusto per venire fuori.

Ad ogni modo, credo che la storia della banda della Uno Bianca, sia una di quelle che merita di essere raccontata ancora.

È stata una vicenda così tragica e terribile da aver inciso profondamente il tessuto sociale della nostra nazione.

Le vicende della banda della Uno Bianca si intrecciano, inevitabilmente, con quelle dell’Italia stragista dei primi Anni Novanta. Come spiegheresti quel periodo alle nuove generazioni?

È un discorso complesso e difficilmente affrontabile in maniera non strutturata.

Personalmente amo ricordare che negli stessi anni nei quali i criminali della Uno Bianca spargevano morte e distruzione, c’erano “servitori dello Stato” che hanno dato la loro vita per questo Paese e per le istituzioni.

Il fatto che cinque dei sei componenti della banda fossero poliziotti ha imbarazzato o incuriosito la Polizia di Stato?

Non solo la Polizia di Stato, ma tutte le Forze dell’Ordine immagino abbiano, una volta appresa la notizia, provato un profondo senso di disagio.

Probabilmente è stata una cosa difficile da “digerire” più per la Polizia di Stato che per altri corpi

Ritengo però che a prescindere da quale sia la divisa che s’indossi, chiunque abbia scelto di servire e proteggere il nostro paese, si sia sentito profondamente oltraggiato da questa vicenda.

Qual è il messaggio che oggi arriva di questa spietata efferatezza e a cosa serve l’elenco di tutte le vittime che mostri al lettore?

La ferocia con la quale la banda della Uno Bianca ha percorso la sua storia criminale ci ricorda l’irrazionalità del male e quanto labile sia l’essere umano.

A volte siamo portati a pensare che determinate cose non possano accadere se non in un libro o in un film, ed invece spesso accadono proprio nel nostro quotidiano, sotto i nostri occhi.

Ho cercato in qualche modo di restituire dignità, se mai un libro possa farlo, a chi per questa vicenda ci ha rimesso la vita.

Spesso accorpiamo tutto nel concetto di “vittime” e invece a me interessava far comprendere al lettore che quei morti erano persone normalissime che avevano una vita, relazioni, amici, cose da fare e giorni ancora da vivere.

Esattamente come te che mi stai ponendo domande ed io che ti sto rispondendo.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.