La ragazza dei lupi…
C’era una volta, in una piccola casa con le tegole rosse al centro del bosco, una bimba bella e fiera.
Indossava vestitini inamidati dalla sua mamma, merletti e trine ma, per il vezzo di coprirsi con una mantella scarlatta, tutti la chiamavano appunto cappuccetto rosso.
Giocava allegra con i timidi animali del bosco, coglieva fiori e inventava storie. Insomma era nella beatitudine dell’infanzia. Il suo corpo però cominciava a stranirsi. Le gambe stavano divenendo lunghe come quelle dei cerbiatti, gli occhi erano pozze di acqua scura, il cappuccetto le stava giusto.
Viveva nel bosco un lupo che da lupo correva e da lupo mangiava e poi sonnecchiava beato. Qualcuno del branco le aveva parlato della bimba che stava nella casetta rossa ma a lui le bimbe non interessavano. Il bosco bastava ai suoi bisogni.
Un giorno la mamma chiese a cappuccetto di portare cibo alla nonna che viveva dall’altra parte del bosco ma che facesse attenzione alla strada. E poi, che lei già era dieci passi oltre il viale di terra rossa, le urlò di evitare il lupo.
La piccola era felice della passeggiata, procedeva curiosa e del lupo neanche l’ombra. La sua mamma era davvero esagerata, pensò. Neanche si accorse subito che un cane la seguiva e l’annusava. Un cane grigio con una striscia di pelo più scuro sul dorso. L’accarezzò come era solita fare.
Il lupo aveva seguito la bimba per istinto. Quel tocco lieve sulla sua pellaccia lo fermò in qualsiasi pensiero. Sentì un tipo di fame che non conosceva. Pensò allora di scortarla come aveva visto fare nel suo branco. Pensò al capo che si portava sempre dietro il suo scudiero per protezione e affetto. Cominciò a capire che non ci sono solo fame e sonno.
Girava per il bosco un guardiacaccia ben sazio e annoiato. Portava a spalla un fucile che se nel frattempo gli capitava a tiro una brigata di starne qualche colpo sarebbe partito. Mica si riteneva cattivo, ammazzava solo il tempo. Ma gira oltre la grande quercia, gira un po’ senza meta, vide la piccola che poi tanto piccola non era e il lupo al seguito.
Mirò al lupo e lo ferì. Cappuccetto rosso si spaventò eccome per la povera bestia che gemeva al suolo, il rivolo di sangue rosso che gli colava e di più ancora ebbe terrore dell’omone che arrivava con un ghigno. L’uomo cercò di prenderla, le alzava il vestitino, la toccava rosso in viso ma cappuccetto, agile com’era, gli scivolò dalle manacce e corse veloce. Corse a perdifiato con gli strappi sul mantello rosso, arrivò dalla nonna e raccontò l’accaduto accavallando parole e gesti. La nonna capì già prima di udire. Altro che lupo, la piccola doveva essere protetta ma soprattutto doveva essere educata. Ai pericoli che si sarebbero palesati. Ai lupi che abbaiano e non mordono. A chi poteva farle male anche senza mangiarsela.
Alla femminilità che ha la sua bellezza, a volte il suo prezzo. Alla vita così com’era.
Il guardacaccia arrivò puntuale com’era prevedibile. La nonna aveva paura. Nel silenzio dell’attesa si sentì un lieve fruscio oltre la staccionata ed ecco un lupo, due lupi, tre e poi molti che cominciarono a girare attorno alla sua casa. Attaccarono l’uomo in sincrono e ne fecero un lauto gustoso pranzo.
Da quel giorno la piccola non più piccola aveva ovunque andasse la sua scorta. Le erano cresciuti lunghi setosi capelli rossi, portava un mantello di pelliccia con striature fulve e gli occhi grigi e magnetici si erano allungati. Il bosco non aveva segreti perché era casa sua.
Per tutti era la ragazza dei lupi.