L’unione nella vita e nella morte di Francesca Morvillo e Giovanni Falcone
“All’unione di due anime costanti io mai porrò impedimenti.
Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l’altro si allontana.
Oh no! Amore è un faro, sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai. Amore non muta in poche ore o settimane, ma, impavido, resiste al giorno estremo del giudizio; se questo è errore e mi sarà provato, io non avrò mai scritto e nessuno ha mai amato.”
Questa citazione di William Shakespeare mi sembra quasi come un vestito fatto su misura alla relazione d’amore che ha unito Francesca Morvillo e Giovanni Falcone.
Il 23 maggio 1992 Francesca era in macchina, al suo fianco, alla guida, vi era Giovanni: quello sarebbe stato l’ultimo momento vissuto insieme.
Morì prima Giovanni, in ospedale, tra le braccia disperate del suo amico Paolo e dopo appena ventidue minuti Francesca lo seguì, che nemmeno in quella circostanza volle lasciarlo da solo.
Dopo tre anni, venne trovato nel suo ufficio un bigliettino sul quale vi era scritto “Giovanni, amore mio, sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me così come io spero di rimanere viva nel tuo cuore, Francesca”.
di Alessia Bruno
Francesca Morvillo, fine giurista, illustre magistrato, una donna ed una professionista figlia della sua Sicilia. Nata a Palermo il 14 Dicembre del 1945 morì nella strage di Capaci il 23 Maggio del 1992.
A soli 22 Francesca si laureò in Giurisprudenza nella sua città natale, discutendo una tesi su “Stato di diritto e misure di sicurezza”. L’esito dell’esame fu eccellente: la Morvillo ottenne la lode e il conferimento del premio “Giuseppe Maggiore” per il migliore elaborato dell’anno accademico 1966/1967.
Giovanni Falcone nacque a Palermo il 20 maggio 1939 dove anch’egli si laureò in giurisprudenza. Dopo essere stato per breve tempo pretore a Lentini, nel 1966 Giovanni viene nominato sostituto procuratore presso il Tribunale di Trapani. Alla fine del 1978 si trasferisce al Tribunale di Palermo, prima alla sezione fallimentare e poi all’Ufficio istruzione guidato dal consigliere istruttore Rocco Chinnici. Due anni dopo avvia l’inchiesta sul clan mafioso Spatola-Inzerillo e le sue indagini portano alla luce un quadro molto articolato di “Cosa Nostra”.
I due celebrarono il loro matrimonio in segreto, per non fare rumore, che già era troppo il caos che li circondava; se la loro era e sarebbe stata una storia “normale”, nulla di ordinario avevano le scorte, le sirene o i mitra spianati con i quali dovettero sempre convivere, mai liberi di vivere la loro vita, sempre inseguiti dall’ombra della mafia. Una minaccia incombente dietro ogni angolo, sotto ogni stella, persino sulla piccola spiaggia dell’Addaura, dove le cosche nonostante la strettissima vigilanza il 21 giugno 1989, erano riusciti a collocare 58 cartucce di esplosivo, di tipo Brixia B5, all’interno di un borsone sportivo accanto ad una muta subacquea e a delle pinne abbandonate, nella spiaggetta antistante la villa affittata dal magistrato, che aspettava i colleghi svizzeri Carla del Ponte e Claudio Lehmann con cui doveva discutere sul filone dell’inchiesta “Pizza connection” che riguardava il riciclaggio di denaro sporco.
Tutte queste difficoltà mi fanno pensare che il loro non poteva che essere un rapporto meraviglioso. Due persone straordinarie, capaci di imprese sconosciute. La loro storia mi fa pensare ad un verso di Gabriele D’Annunzio “Ama il tuo sogno se pur ti tormenta”.
di Claudia Manco