In attesa di Italia-Germania, l’appello di un campione vero: dentro e fuori dal campo.
Giornate intense, quelle degli Europei 2016, mentre cresce l’attesa per la sfida con i teutonici. E intanto che le telecamere di tutto il mondo si concentrano sugli stadi di Francia, a noi di Odysseo piace rilanciare la storia di un grande campione: di quelli che lo sono dentro, ma ancor più fuori del campo di calcio.
Il campione in questione è arcinoto. Si tratta di Samuel Eto’o, che ha accettato di prestare la sua immagine come testimonial del Fondo Globale per la lotta all’AIDS, la Tubercolosi e la Malaria.
Scrive lo scorso 25 giugno, sulle colonne dell’HuffPost, proprio Samuel Eto’o: «Da ragazzo, ho avuto innumerevoli attacchi di malaria che avrebbero potuto uccidermi. Invece sono stato uno dei fortunati, perché la malattia ha ucciso milioni di bambini nel mio paese e in tutta l’Africa. Non solo. Sono diventato grande negli anni ’90, quando l’AIDS sembrava inarrestabile».
Si ritiene fortunato, Samuel, e per questo prova a fare la cosa giusta, ricordando il massiccio impegno di partner nazionali e internazionali, tra cui il nostro Paese, che lottano per salvare la vita di milioni di bambini africani: «Alla fine del 2014, l’Italia e altri partner internazionali avevano salvato 17 milioni di vite attraverso il partenariato del Fondo globale. Partenariato che adesso punta ad aumentare questa cifra a 22 milioni entro la fine del 2016».
Le epidemie di AIDS, tubercolosi e malaria si possono, dunque, sconfiggere e il campione che ha deliziato tanti tifosi ringrazia ora l’Italia che «con oltre un miliardo di euro versati al Fondo globale, è l’ottavo maggior paese donatore: un vero e proprio leader in questo impegno».
Come recita la Campagna lanciata dal Fondo Globale, ognuno di noi ha più potere di quanto possa credere. Ne ha sufficienza per fare la differenza tra compleanni e funerali, tra una generazione che lotta contro l’AIDS e una che se ne sarà liberata: «Abbiamo la possibilità di essere solidali – continua Samuel Eto’o – e di mostrare il nostro forte impegno per aiutare il Fondo globale a conseguire il suo obiettivo di 13 miliardi di USD di fondi per il periodo 2017-2019. Denaro che servirà per accelerare la fine delle epidemie di AIDS, tubercolosi e malaria, oltre che per costruire sistemi sanitari forti e resilienti, che contribuiranno a gestire i focolai di malattie come il virus Ebola».
Certo, l’appello riguarda in primo luogo i leader mondiali, ma riguarda anche chi li vota. Riguarda ognuno di noi. Riguarda il dovere di costruire una cultura della solidarietà piuttosto che dell’indifferenza. Una cultura che sceglie le strette di mano, invece che innalzare i muri della vergogna: «Abbiamo percorso una lunga strada dagli anni ’90, quando milioni di ragazzi e ragazze dei miei tempi non sarebbero sopravvissuti per realizzare i loro sogni. Ora dobbiamo raggiungere il traguardo, sconfiggendo definitivamente le malattie che li hanno uccisi».