È la storia del bruco e della farfalla…

Ci sono cose che cambiano e cose che si trasformano.

Cambiare è un lutto: c’è qualcosa che poi smette di esserci. Una morte improvvisa o solo una notizia inaspettata cambiano radicalmente una situazione. Allora il cambiamento assomiglia a un terremoto, in cui a finire sotto le macerie sono spesso le migliori delle certezze che avevamo. Le avevamo costruite in zona sismica, forse senza saperlo, o forse ignorando il pericolo reale, sperando che fossero più forti dei sussulti. E invece, a volte, in un attimo tutto cambia, non senza shock.

Ma il cambiamento è difficile sempre: anche quello pianificato e desiderato abbisogna di una motivazione forte. Cambiare, da kampein, “curvare”, è un atto di rinuncia alle linee dritte, ai percorsi lineari, spediti, lastricati di certezze e di conferme del proprio sé. Del resto, perché cambiare? Perché dispendere così tanta energia per attuare la modifica sostanziale di qualcosa della propria personalità? Perché non cavarsela dribblando imprevisti ed errori, salvandosi in calcio d’angolo un giorno sì e l’altro pure? Si può fare, ma ad un costo molto alto: privarsi della possibilità di stupirsi, di rinascere, di lasciare e lasciarsi andare per ritrovare e ritrovarsi, di risorgere sé e gli altri. In un’altra parola di trasformarsi.

Tutte le trasformazioni iniziano con i cambiamenti. Ma non tutti i cambiamenti sono automaticamente trasformazioni. Perché, se il cambiamento è difficile, la trasformazione lo è di più; se per cambiare occorre coraggio, per trasformarsi bisogna essere artisti.

Cambiare significa, anzitutto, rendersi disponibili alle situazioni, come l’acqua che si modifica sulla base del suo recipiente. Ma non per questo non ha forma, non per questo non ha sostanza: essa non smette di essere quello che è, semplicemente devia i propri percorsi, curva in altro e altrove, non è rigida, non resiste. È come chi accantona la tabella con gli orari, il grafico con lo standard e si avventura in percorsi inediti. La parte più bella, la trasformazione, viene poi: arriva quando si smette di rimproverare o rimpiangere il contenitore precedente, quando scompare il senso di colpa per non aver rispettato la tabella e il senso di inferiorità per essere fuori dallo standard, per aver rinunciato ai parametri di valutazione.

Cosa è accaduto precisamente? Si è smesso di fare lutto. Si è smesso di credere che qualcosa è semplicemente morto. E si è capito che quel qualcosa si è semplicemente trasformato. È di più. È tutto. Ci sarà sempre una traccia che porterà a quel qualcosa, ricordandolo e rievocandolo. Ma senza rimpianti, piuttosto con un sorriso. Perché quel nuovo avrà insegnato ad elaborare la paura, a superare la resistenza, ad abbandonarsi all’inedito divenuto possibile.

È la storia del bruco e della farfalla, degli alberi in autunno, della statua che era marmo. E delle persone coraggiose, che sanno trarre rinascita dal mutare, pianificato o improvviso. Non senza lacrime, sudore, ribellione e crisi, s’intende. Perché la vita non è quello che ti capita, ma ciò che fai con quello che ti capita.


FontePhotocredits: Michela Conte
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Sono un'insegnante, anche se il più delle volte sono io quella in-segnata dai miei studenti. Sono una ricercatrice, perché cerco piste di rilevanza pubblica per una materia troppo fraintesa e troppo di nicchia: la teologia. Sono una giornalista e faccio cose con le parole. "Quello che non ho è quel che non mi manca" (F. De André) e sono immensamente grata alla vita perché, non senza impegno e sacrificio, "ho trovato amore nel mezzo de la via, in abito legger di peregrino" (Dante Alighieri, Vita nova)