Negli ultimi 5 anni di crisi il settore agricolo è stato l’unico a non vedere ridotte le assunzioni di lavoratori stranieri. Ciò è stato particolarmente vero per le regioni del Mezzogiorno, nello specifico per la Puglia. Complice la sua forte vocazione agroalimentare, proprio negli ultimi 5 anni, le assunzioni di stranieri qui sono considerevolmente aumentate.

Il secondo rapporto “Agromafie e caporalato” del FLAI-CGIL parla di un ammontare di 100 mila stranieri nella Regione, di cui il 40% occupato in agricoltura (38.220 unità). Questo stando ai dati riguardanti i lavoratori in regola. Ad essi vanno aggiunti 50 mila irregolari che sommati ai primi compongono un esercito di 80 mila braccianti non italiani (100 mila in alcuni periodi) che servono l’agricoltura pugliese. Sulla questione il Rapporto è quanto mai chiaro: “la forza lavoro immigrata è da considerarsi strutturalmente necessaria”.

La provincia dove i braccianti immigrati sono più numerosi è quella di Foggia (in Italia seconda solo a Bolzano) dove si registrano 21.250 lavoratori regolari e 22.240 irregolari. A seguire c’è Bari con 5.461 regolari e 5.720 irregolari. Taranto vanta un totale di 8.218 agricoltori stranieri, mentre la Bat, nonostante le sue ridotte dimensioni, conta 2.529 regolari e 2.640 irregolari, superando Brindisi (5.101) e Lecce (5.022). Non stupisce dunque che proprio in queste aree si verifichino le più gravi forme di sfruttamento del lavoro, giunte a volte, secondo alcuni osservatori, a una soppressione di fatto dei diritti umani.

            Foggia

Foggia è la provincia più interessata dal cosiddetto “fenomeno degli stagionali”. Si coltiva grano, pomodori, vite e ulivo. Le etnie presenti, in ordine di grandezza, sono romeni, bulgari, polacchi e albanesi. Arrivano numerosi in primavera da Sicilia, Calabria e Campania e vanno via in autunno, in parte al Nord, in parte tornando nelle Regioni da cui sono arrivati.

In tutto il foggiano, secondo il Rapporto, ben 4 sarebbero le zone in cui il lavoro dei braccianti risulterebbe “gravemente sfruttato”: Lago di Lesina, Rignano Garganico, Cerignola, dintorni di Foggia stessa. I lavoratori vengono pagati 2,5/3 euro l’ora che per 12 ore lavorative (media giornaliera) fa 30 euro netti al giorno. La paga stabilita per legge per operai di questo tipo è 44,60 euro lordi al giorno, ma per 6 ore e mezza di lavoro.

I braccianti stranieri occupati regolarmente, dunque stanziali (circa 20.000 unità), hanno condizioni abitative buone. Gli stagionali, spesso irregolari, sono quelli invece cui toccano le condizioni più degradanti. Solo 1000 di questi, infatti, abitano case decenti come quelle dei regolari, mentre 4/5 mila approfittano del sistema degli “alberghi diffusi”, infine 12/13 mila vivono nei “ghetti”. Se per i secondi gli alloggi sono inadeguati e non confortevoli, per i terzi la regola è disagio, degrado e promiscuità sociale.

Nel foggiano ci sono 11 “ghetti”. Il più grande durante l’estate è il “Ghetto Sahara”, nel comune di Stornarella, che arriva a ospitare 3000 persone. Quello più imponente per il numero di ospiti fissi invece è appunto il “Gran Ghetto” o “Ghetto di Rignano” con circa 1300 persone. Qui, a differenza degli altri, ci sono bagni chimici e acqua potabile ma, quanto a servizi, nient’altro. Personaggi loschi gestiscono la vendita (a prezzi rialzati) di acqua, bevande, gas, attrezzi da lavoro, sigarette, alcolici. Gli stessi, tutti i weekend, organizzano l’arrivo dalla Campania di 4 o 5 ragazze nigeriane a scopo sessuale.

Il villaggio a parte qualche casolare che funge da nucleo centrale è fatto di baracche di legno e plastica. Detto ciò ospita una macelleria, 2 piccoli ristoranti, un calzolaio, un meccanico, un fruttivendolo, alcuni alimentari, postazioni TV, dama e scacchi. Le istituzioni sono completamente assenti e l’agglomerato è governato solo dal buonsenso. La rimozione dei rifiuti, la distribuzione dell’acqua, la riparazione delle baracche, la mediazione dei conflitti è completamente autogestita.

Il caporalato nelle terre pugliesi

Il Ghetto di Rignano ha preso l’avvio da un accordo tra imprenditori e caporali vista la necessità di sistemare la manodopera ad essi sottoposta. La maggior parte dei ghetti è nata così. Questi poi sono di solito lontani dalle città e dai luoghi di lavoro, così del trasporto dei lavoratori è sempre il caporale ad occuparsi. Infine il caporale recluta di fatto la manodopera sostituendo in tutto e per tutto il proprietario terriero. Sono i braccianti stessi ad ammettere che nonostante siano da esso sfruttati, sarebbe difficile trovare lavoro senza la mediazione di un caporale. Il caporalato, purtroppo, è utile ed efficiente.

Il Mezzogiorno ha una lunga tradizione di caporali in agricoltura, il fenomeno non è affatto nuovo. Con i vecchi caporali non mancavano prepotenze e abusi, tuttavia questi non sono paragonabili alla violazione dei diritti umani perpetrata dai caporali d’oggi. La differenza fra questi e quelli risiede nella capacità di ricatto dei nuovi. Se prima infatti tale figura gestiva solo il lavoro dei braccianti, oggi i caporali controllano la vita dei lavoratori stranieri, ad iniziare dal posto in cui lasciarli vivere, fino alle sorti del loro permesso di soggiorno.

La provincia Bat e Andria

Nella provincia Bat (Barletta-Andria-Trani) gli addetti all’agricoltura sono circa 16.000, fra questi i migranti sono il 19%, cioè circa 3.000 unità. Andria ospita il più alto numero sia di stagionali che di stagionali stranieri: i primi sono 4.525, di cui circa 900 non italiani. Seguono San Ferdinando e Trinitapoli con 550 stranieri e Barletta che ne conta 465. Le etnie più presenti sono, in ordine di grandezza: romeni, bulgari, maghrebini/albanesi, africani. Di solito arrivano direttamente dai propri paesi d’origine o da Nardò per coltivare principalmente viti, ulivi, pesche e ortaggi. Finita la stagione proseguono per Rosarno e ancora Cassibile.

«È difficile che nel barese emergano situazioni di particolare sfruttamento [perché gran parte del lavoro viene assorbito dalle comunità di stranieri stanziali, ndr], lo stesso non può dirsi per Andria e Barletta. Qui sappiamo di aziende che impiegano stranieri in modo inumano [in conseguenza anche dell’alto numero di stagionali, ndr]”. Neanche in uno dei paesi della Bat risultano condizioni lavorative “buone”. Dappertutto vengono definite dal Rapporto “indecenti”, mentre il record di negatività lo detengono Andria e Spinazzola dove il lavoro è “gravemente sfruttato”».

I tipi di sfruttamento sono dovuti alla presenza di caporali, dunque derivanti da truffe circa l’ammontare dei salari o delle ore lavorative, nonché dalle minacce e violenze psicofisiche. I numeri in sostanza sono allarmanti, come testimoniano anche i fatti di cronaca nera di quest’estate. La “Comunità Oasi2”, che con il progetto “Adelaide” da anni cerca di fare qualcosa per arginare il fenomeno, non sembra poter più bastare.